La sanità pubblica italiana piange da tempo la carenza di medici, infermieri e posti letto. A rischio la salute di milioni di cittadini.
Non è infrequente che per avere una visita nel pubblico si sia costretti ad attendere mesi. Nel privato funziona diversamente ma curarsi è un diritto di tutti. Talvolta il pubblico si comporta come il privato a scapito di chi non può pagare.
Da Milano arriva una storia davvero triste, che fa arrabbiare ma, al contempo, ci dà un’immagine reale di come è ridotta oggi la sanità. Nonostante l’impegnativa urgente del medico di base, una donna non riusciva ad ottenere in tempi brevi una risonanza magnetica per la figlia. Per la stessa visita, se fatta a pagamento, lo stesso ospedale pubblico avrebbe avuto posto dopo 3 giorni.
“Abbiamo già denunciato come alcune strutture accreditate, usando la scusa delle liste d’attesa lunghissime del servizio sanitario nazionale, propongono il passaggio al privato, ma qui siamo oltre: il pubblico che si comporta come un privato“- a raccontare questa storia ai microfoni di Fanpage è stato il dottor Vittorio Agnoletto, medico, docente universitario e attivista di Medicina Democratica. Qualche giorno fa al medico è arrivata una telefonata da parte di una madre che non riusciva a far visitare sua figlia: l’unico modo per ottenere una visita subito era pagare almeno 490 euro.
Il primo giorno di febbraio la donna aveva chiamato per prenotare una uro risonanza magnetica per la figlia con impegnativa urgente a 10 giorni. L’Ats di Milano le ha risposto che la sua richiesta era stata inserita in una lista “di galleggiamento”: si tratterebbe di una lista d’attesa in cui i pazienti vengono inseriti e poi richiamati. Tuttavia, nessuno l’ha più contattata ma i giorni passavano e la figlia doveva assolutamente fare la risonanza magnetica.
A quel punto la donna ha provato a telefonare al Cup per vedere se fosse possibile fare quella stessa visita a pagamento: prestazioni fuori dall’orario normale da parte dei medici ma sempre in ospedale. Il call center le ha subito proposto quattro date, di cui la prima dopo appena tre giorni a un costo pari a 490 euro al Fatebenefratelli di Milano. Il dottor Agnoletto prosegue: “Questo è l’aspetto grave, la struttura pubblica ha detto di non avere disponibilità e, nonostante la signora avesse detto di poter andare in qualunque provincia lombarda, non ne hanno proposto nessun’altra“. L’unica soluzione, quindi, era pagare almeno 490 euro, arrivando in alcuni casi fino a 700, per poter far visitare la figlia in tempi ragionevoli. Ma questo vuol dire che in realtà il posto in realtà c’era, pagando.
Esiste un decreto legislativo– il 124 del 1998 – che stabilisce che se una struttura pubblica non è in grado di eseguire un esame, o una visita, nei tempi prestabiliti, deve prenotarla in altre strutture dello stesso ambito territoriale. Ma non solo, se nemmeno questo è possibile, è tenuta a prestare una visita fuori dall’orario di visita facendo pagare solo il ticket o nulla se il paziente è esente. La signora lo ha scritto in una email ad Ats e, magicamente, il posto è saltato fuori. 1 marzo.
Il dottor Agnoletto ha concluso amareggiato: “Non può essere sempre questo il modo di gestire la sanità pubblica. Dopo la vicenda MultiMedica, dove gli operatori che riescono a spostare la richiesta al privato ottengono un premio, qui il pubblico si comporta direttamente come privato. Come pubblico non ti trovo un posto da nessuna parte, ma se vuoi venire da me come privato te lo trovo subito. Se va avanti questa logica, si potrà sempre più curare solo quello che dispone di risorse economiche“.
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