Da gennaio qualcuno subirà un gran salasso sulla casa in affitto e andrà a pagare un canone davvero alto.
Ormai non è un segreto che ci sono rincari e aumenti di prezzo su ogni cosa, queste sono le conseguenze della guerra e di un’inflazione molto alta e la crisi economica. Dopo l’aumento del carburante, beni alimentari, energia elettrica e luce si sta verificando anche l’aumento dell’affitto di casa.
Pertanto gli inquilini delle case in affitto dovranno pagare di più. L’aumento del canone di affitto dipende dall’indice FOI. Vediamo quindi cosa accadrà alle persone che sono in affitto a partire dal 2023.
Chi dovrà pagare di più l’affitto di casa
Anche il canone di affitto è destinato ad aumentare a causa dell’inflazione. L’inflazione purtroppo non fa sconti a nessuno. Non c’entra il tipo di contratto sottoscritto in questo caso, tra canone concordato con formula 3 anni più 2 anni o canone libero con formula 4 più.
L’inflazione da diritto al padrone di casa di richiedere un aumento del canone al proprio inquilino. Pertanto da gennaio molti rischiano un salasso sul prezzo dell’affitto. Gli unici che si possono salvare da questo aumento, sono quelli che hanno sottoscritto il contratto con cedolare secca.
Per questo tipo di contrattazione la normativa vigente prevede il divieto di adeguare il canone di affitto al tasso di inflazione. Bisogna aggiungere che l’adeguamento del canone di affitto all’inflazione scatta solamente se previsto dal contratto. Perciò il padrone di casa non può aumentare il canone giustificandolo con l’inflazione se non è previsto dal contratto.
Inoltre l’aumento del canone può essere chiesto a voce o tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. Se invece il padrone di casa non chiede nessun aumento, allora l’inquilino non deve versarlo.
Il padrone di casa può chiedere poi fino a 5 anni di aumento in una soluzione unica. Questo vuol dire che se il padrone di casa si è dimenticato di chiedere l’aumento in passato, può sempre farlo chiedendo gli arretrati.
L’aumento del canone in pratica è esattamente uguale a quello di ogni altro bene. Segue infatti l’indice FOI, ossia il paniere dei beni di consumo delle famiglia. Il tasso di inflazione è decretato infatti dall’ISTAT facendo riferimenti all’aumento dei prezzi dei beni di largo consumo per le famiglie.
L’aumento potrà essere pari al 100% del tasso di inflazione o in percentuali differenti come sottoscritto nel contratto. Questo però solo nel contratto a canone libero, in quello invece a canone concordato non può mai essere superiore al 75%.
Questo vuol dire in definitiva che chi pagava 500 euro di canone con contratto a canone concordato, rischia di pagare 530 euro. L’inflazione è pari all’8% ma potrebbe essere più alta, genera poi al 75% un incremento del 6%. Aggiornamenti su www.proiezionidiborsa.it.