A Torino, nasce un servizio di accoglienza destinato ai genitori che subiscono molestie dai propri ragazzi.
Il Gruppo Abele ha recentemente avviato il progetto Le Querce di Mamre, un servizio di accoglienza destinato ai genitori vittime dei figli che, in caso di pericolo, offre loro un rifugio provvisorio in una struttura protetta del Gruppo, e vicino a un educatore pronto a sostenerli durante tutto il periodo di allontanamento da casa.
Le Testimonianze
Era l’inverno del 2015 quando Alberto, Anna e il figlio minore Federico (nomi di fantasia), vanno alla stazione dei carabinieri più vicina, per denunciare, dopo anni di torture, le molestie subite per mano di Marco, il figlio più grande. «Aveva dodici anni quando ha iniziato a pretendere cose fuori dalla nostra portata e reagire in modo esagerato di fronte ai nostri, per la verità rari, rifiuti — continua Alberto — una moto, poi due, poi tre; tante auto, mille pezzi di ricambio per modificarle come fossero Lego, centinaia di scarpe e vestiti: voleva sempre di più e diventava ogni giorno più aggressivo». Marco ha tenuto in ostaggio il fratello e i genitori per quasi dieci anni, prima che forze dell’ordine e Gruppo Abele trovassero, insieme, il modo per salvarli. «Si va dai carabinieri a denunciare Marco e le sue violenze, dissi ad Anna e Federico, quel giorno. E così facemmo». Da soli è dura, troppo dura. In queste situazioni è indispensabile l’appoggio di qualcuno che ti dica che stai percorrendo la strada giusta e ti sorregga». I genitori di Marco hanno chiesto e ricevuto aiuto da Adriana Casagrande, psicoterapeuta responsabile del servizio di accoglienza del Gruppo Abele, che offre supporto a persone con dipendenza da sostanze e da comportamento, autori di violenza intra familiare, affidi alternativi alla detenzione.
E, con lei, sono stati in terapia ogni settimana per quasi dieci anni, prima di trovare la forza di essere abbastanza «spudorati» da denunciare il proprio ragazzo. In questi giorni il Gruppo Abele ha avviato il progetto «Le Querce di Mamre», un servizio di accoglienza destinato ai genitori vittime dei figli che, in caso di pericolo, offre loro un rifugio provvisorio in una struttura protetta del Gruppo, e vicino a un educatore pronto a sostenerli durante tutto il periodo di allontanamento da casa. Così, il Gruppo li nasconde nella Cascina Abele di Murisengo, Alessandria, allora destinata a giovani ragazzi con storie problematiche alle spalle. Alberto dopo la consulenza con la psicoterapeuta è riuscito finalmente a denunciare il proprio figlio, e ha usufruire del rifugio. Nei giorni successivi, Marco, che non aveva notizie della famiglia, decise di andare a segnalarne la scomparsa. Arrivato in caserma, invece, l’uomo scoprì di essere stato denunciato e venne arrestato con l’accusa di violenza domestica e percosse reiterate nel tempo. Dopo il processo, Marco (oggi trentottenne) è stato condannato a 3 anni di carcere che ha scontato parzialmente, per poi passare a pene alternative. «Mio figlio soffre di narcisismo patologico ma, grazie al percorso di recupero iniziato a seguito dell’arresto, oggi sta meglio; lavora, ha una casa e, anche se lo vedo poco e con la supervisione di terzi, so che si sta riabilitando, che è autonomo, e che non è pericoloso né per sé, né per gli altri — conclude Alberto — ecco perché, sento forte il bisogno di lanciare un appello, a tutti i genitori vittime dei propri figli: non vergognatevi per la vostra tragedia familiare e abbiate la sfrontatezza di chiedere aiuto».