Svolta nel caso di Yara Gambirasio: due nuovi indagati tra cui un giudice. Potrebbero aver depistato le indagini.
Sono passati quasi dodici anni ma Yara Gambirasio ancora non trova la pace che meriterebbe. La ragazzina aveva solo 13 anni quando scomparve da Brembate Sopra – Bergamo – nel novembre del 2010. Il suo corpo senza vita fu ritrovato il febbraio dell’anno successivo.
A distanza di più di un decennio, la procura di Venezia ha iscritto nel registro degli indagati il presidente della Prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato, Laura Epis. I due sono accusati di frode in processo e depistaggio in merito alle prove contenenti il Dna del presunto assassino rinvenute sul corpo di Yara e sulla scena del delitto. La denuncia è partita dai legali che assistono Massimo Bossetti. Secondo gli avvocati della difesa qualcuno potrebbe aver occultato deliberatamente 54 provette contenenti il Dna che ha poi portato alla condanna dell’uomo.
In particolare la difesa ha sempre lamentato di non aver avuto accesso diretto alle tracce di Dna trovate sui leggins e sugli indumenti intimi della 13enne in quanto fu detto loro che il materiale biologico era andato deteriorato. Tali tracce di Dna furono classificate come ‘Ignoto 1′ e poi attribuite a Bossetti. Secondo gli avvocati Salvagni e Camporini il materiale confiscato fu conservato appositamente in modo tale da farlo deteriorare vanificando la possibilità di effettuare nuove indagini difensive. Dunque, per la difesa, fu un gesto doloso che ha spinto i due a presentare denuncia e di conseguenza all’apertura dell’inchiesta in procura a Venezia. Nei mesi scorsi sono stati ascoltati diversi testimoni, ora l’inchiesta veneziana sembrerebbe vicina alla chiusura. L’avvocato Salvagni – uno dei due legali di Massimo Bossetti – ha spiegato: “Pendono altri due ricorsi in Cassazione per ottenere l’autorizzazione a riesaminare quei reperti, che però ancora non sappiamo in che condizioni siano e che tipo di danni possano aver subito trasferendoli dall’ospedale San Raffaele, dove erano custoditi inizialmente, ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato. L’obiettivo della denuncia è proprio di sapere se sono ancora utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di ‘Ignoto 1′”.
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