Braccianti sfruttati come bestie, sotto indagine la moglie del capo Dipartimento Immigrazione del Viminale

Foggia. Nell’ambito di un’inchiesta per caporalato, Michele Di Bari, capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, si è dimesso, in quanto sua moglie è stata indagata.

Caporalato
Janos Chiala/GettyImages

Nell’ambito di un’inchiesta per caporalato, le forze dell’ordine hanno effettuato un blitz nel comune di Manfredonia e in altre città della provincia di Foggia. È stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 16 persone: due persone in carcere, tre persone ai domiciliari e undici individui soggetti a obblighi di dimora nonché a obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.

Tra gli indagati anche la moglie del capo Dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Viminale, ovvero Michele Di Bari, il quale ha rassegnato le sue dimissioni dall’incarico di capo Dipartimento al Ministero degli Interni. L’ormai ex capo Dipartimento ha dichiarato: “sono molto dispiaciuto per mia moglie, la quale si è sempre comportata con rispetto verso la legalità. Mia moglie, come me, nutre massima fiducia nella magistratura, ed è sicura della sua totale estraneità rispetto ai fatti contestati”. La ministra Luciana Lamorgese ha accettato le dimissioni di Michele Di Bari.

Le accuse per gli indagati sono di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Le indagini, svoltesi tra luglio e ottobre 2020, hanno portato alla scoperta di un sistema di selezione, reclutamento, uso e pagamento della manodopera, ideato dai caporali nonché dai proprietari delle aziende. Al centro di questo sistema, come verificato dagli inquirenti, vi era un cittadino del Gambia di 33 anni, già coinvolto in un’operazione anti-caporalato. Al suo fianco, un 32enne del Senegal, che faceva da mediatore tra i rappresentanti di una decina di aziende agricole e i braccianti.

L’inchiesta è durata parecchio tempo. Nel corso dei mesi, gli inquirenti hanno evidenziato le condizioni di sfruttamento alle quali erano sottoposti i braccianti extracomunitari africani. Erano impiegati nelle campagne campane per i lavori nei campi, ed erano residenti nella baraccopoli di Borgo Mezzanone. Tale insediamento ospita più di 2000 persone, le quali vivono in condizioni igienico-sanitarie disumane.

I braccianti dovevano lavorare nei campi di pomodori dal mattino al tramonto, per soli 5 euro ad ogni cassone riempito. I lavoratori erano chiaramente sprovvisti di qualsivoglia dispositivo di protezione nonché di tutele previste dalla legge. Erano controllati costantemente nello svolgimento del loro lavoro, e non erano sottoposti alle visite mediche necessarie. Venivano inoltre portati ai campi con mezzi non idonei, “in pessime condizioni d’uso, non adatti alla circolazione stradale e pericolosi per l’incolumità dei lavoratori”.

Il caos della vicenda si è ora diretto verso il Viminale. In una nota rilasciata dalla Lega si legge: “Gli sbarchi clandestini sono raddoppiati, con 100.000 arrivi negli ultimi 2 anni. L’Europa è assente e lontana su questo tema. Oggi, le dimissioni del capo Dipartimento dell’Immigrazione. È un disastro, il ministro riferisca subito in Parlamento”.

Anche l’opposizione alza la voce rispetto ai vertici del Ministero. “Non bastano le dimissioni di Di Bari. Serve una vera e propria svolta per finire la scandalosa gestione dei dossier in capo al Ministero dell’Interno. La principale responsabile è Lamorgese”, ha asserito il capogruppo di Fratelli d’Italia alla camera, Francesco Lollobrigida. Lo stesso partito ora chiede che il titolare del Viminale risponda delle proprie responsabilità: “Dalla sicurezza all’immigrazione, la superficialità e gli errori del ministro riguardano anche le persone messe a carico di ruoli chiave per il dicastero. Lamorgese si dimetta, o venga rimossa dal presidente Draghi quanto prima”.

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