La questione del gender è entrata nelle Università e nelle scuole da tempo. Ora, tuttavia, è entrata anche nei servizi igienici.
La questione del gender – o genere, per dirla con la nostra lingua madre – è sempre più sentita, specialmente tra i giovani. Qualche giorno fa, a Milano, un docente di Storia è stato licenziato per non aver voluto fare lezione in presenza di tre ragazzi che si erano presentato a scuola in gonna. Il “gender fluid” ha pervaso la cultura di tutto il mondo e l’Italia non fa eccezione. Ognuno rivendica il diritto di essere trattato er come si sente dentro, a prescindere dal sesso biologico con il quale è nato. Soprattutto a prescindere da qualsivoglia incasellamento dettato dalla società e dalle tradizioni. Dunque – per molti – basta maschile e femminile, basta uomo e donna. Forse oggi pure il film “Maschi contro femmine” del regista Fausto Brizzi sarebbe passibile di censura.
Le questioni legate al genere, tuttavia, sono pasate dalle aule, parlamentari e scolastiche, ai gabinetti. Non i gabinetti nei quali si vota, i gabinetti nei quali si espletano le funzioni fisiologiche: i bagni. All’Università di Pisa è arrivato il “bagno neutro“. Gli edifici dell’ateneo toscano sono in totale settanta e – su richiesta di un collettivo studentesco – sono stati tutti mappati e sulle porte dei bagni sono stati affissi dei manifesti che rimarcano l’iniziativa di creare bagni neutrali, in cui, in sostanza, chiunque possa entrare a prescindere dal sesso biologico. “Questo è un bagno neutro. A casa tua i bagni sono divisi per genere?”, si legge sulle porte dei servizi igienici dell’Università. Gli studenti del collettivo hanno poi sottolineato che – a detta loro – dividere i bagni per uomo e donna è violenza di genere. Sulle porte utilizzate come pannelli d’affissione sono spariti i simboli che indicano “uomo” e “donna”.
L’iniziativa è ancora in fase di discussione ma il Senato accademico sembra essere orientato all’accoglimento. L’università di Pisa si è sempre segnalata per una certa apertura in relazione al genere fluido, infatti è stata anche delle prime ad adottare la “carriera alias” per gli studenti transessuali già nel 2007. All’interno dell’Ateneo non sono solo gli studenti a premere verso l’eliminazione di ogni differenza di genere, anche il professor Arturo Marzano – delegato per Gender studies and equal opportunities -sostiene questo tipo di iniziative. Il docente ha proposto l’adozione di un simbolo politicamente impegnato, un mix di maschile e femminile. Altre voci, invece, si oppongono. Non tanto perché non condividano che ognun venga trattato per come si sente – ci mancherebbe – quanto perché, a detta di altri studenti, le priorità di cui occuparsi sarebbero altre: “Anziché preoccuparsi delle strutture carenti, della rimozione di ogni spazio studentesco condiviso e della difficili situazione di un’Università che non riesce a gestire la pandemia, l’Ateneo pisano preferisce abbandonarsi alla deriva della società aperta” – lamentano da Azione universitaria. Senza contare che , maschi, femmine, transessuali, non sessuali o pansessuali, senza Green Pass gli studenti universitari non possono frequentare le lezioni in presenza pur avendo pagato le tasse.
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