Una giovane ginecologa svanita nel nulla. Ora le colleghe portano a galla una verità agghiacciante su quanto accadeva in ospedale.
Emergono nuovi elementi sulla sparizione di Sara Pedri, ginecologa 31enne scomparsa lo scorso 4 marzo. La giovane dottoressa lavorava presso il nosocomio Santa Marta di Trento. Un ospedale conosciuto e rispettato. Nessuno poteva immaginare quanto avveniva all’interno del reparto di Ginecologia. Lo hanno raccontato – nel corso della trasmissione Chi l’Ha Visto – le colleghe di Sara: “Ogni volta che andavo a lavorare pregavo Dio di fare un incidente, rimanere paralizzata e non andarci più poi finisce che se ti ammali, perché ti fanno ammalare, avviano procedimenti disciplinari perché ti sei permessa di ammalarti” – ha raccontato una delle dottoresse mentre un’altra ha aggiunto: “In sala operatoria volavano i ferri chirurgici, ti fanno sentire una nullità, ti fanno mettere in dubbio ciò che tu fai decenni, cercano l’errore per metterti in crisi. Si respira la paura di parlare“.
Un clima di disagio e terrore che già Sara aveva raccontato a familiari e amici prima di crollare fisicamente e psicologicamente. Per questa ragione, ormai gravemente sottopeso Sara aveva deciso di tornare a casa, a Forlì, lo scorso febbraio. Al momento sono stati iscritti nell’albo degli indagati Saverio Tateo, l’ex primario dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, e la sua vice Liliana Mereu. Per entrambi l’accusa è di maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione e disciplina. Il fascicolo d’inchiesta è stato aperto proprio a seguito della scomparsa di Sara Pedri. L’avvocato che assiste la famiglia della 31enne, Nicodemo Gentile, ha aggiunto alla lista dei maltrattamenti alcuni episodi che hanno dell’incredibile: il 20 gennaio Sara fu colpita su una mano prima di essere allontanata dalla sala operatoria. Mentre in un’altra occasione fu costretta a stare da sola in una stanza per ore. In una lettera mai inviata, indirizzata proprio al primario Tateo, Sara chiedeva di poter essere trasferita a Cles, dove era stata assunta inizialmente e dove non era potuta andare a causa del Covid. La giovane dottoressa, in quella missiva, parlava di quelle umiliazioni che per una donna alla prima esperienza di lavoro potevano essere traumatizzanti: “Le numerose umiliazioni, senza nessuno aiuto, hanno provocato in me in una paura mai avuta prima nell’affrontare il lavoro”.