“Dovremmo applicare la Legge Mancino” per Luciana Lamorgese combattere l’odio sui social ormai è una priorità

Il ministro dell’Interno Lamorgese si è espressa in merito al fenomeno dell’odio e del razzismo online e ha proposto una modifica della legge Mancino “negli anni ’90 il razzismo in rete non c’era”.

Franco Origlia/Getty Images

Si è tenuta in Senato la riunione della Commissione straordinaria sull’intolleranza, il razzismo, l’odio e la violenza, presieduta da Liliana Segre, e il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha voluto fare il punto della situazione tirando in ballo anche il mondo del web e i social, divenuti in pochissimi anni teatro di esplosioni di odio e intolleranza. La Lamorgese si è detta molto preoccupata dell’espandersi di atteggiamenti violenti e discriminatori e ha sottolineato in audizione che soprattutto il fenomeno dell’incitazione all’odio è sempre più “invadente e corrosivo” ora che ha trovato terreno fertile grazie alle piattaforme virtuali che ogni giorno scandiscono il nostro tempo. Non è così assurdo pensare che, se tutti – o quasi – viviamo una vita parallela on line grazie ad un alter ego virtuale fatto di codici e numeri, passando da una piattaforma ad un’altra come se fossero locali sparsi lungo la strada di casa, le interazioni che portiamo avanti possano influenzare la nostra vita reale.

Nuovi spazi necessitano di nuove regole

I social sono nuovi spazi che differiscono dai contesti che abbiamo abitato fino ad una ventina di anni fa e ci offrono una libertà di azione ed espressione potenzialmente infinita. E come tutti gli altri spazi sociali, anche le piattaforme online hanno bisogno di una regolamentazione e di una cultura. Se prima di Zuckerberg eravamo abituati a condividere i nostri pensieri e valori con la nostra cerchia ristretta di amici, in una interazione faccia a faccia che portava con sé specifiche conseguenze, oggi siamo immersi in un meccanismo di uniformazione e deresponsabilizzazione tale che ci risulta più che naturale condividere le nostre riflessioni on line spesso senza pensare al peso delle nostre azioni.

Sempre soli, mai soli

Questo accade sostanzialmente per due motivi, primo tra tutti il fatto che viviamo in una società sempre più individualistica che ci rinchiude in spazi angusti e limita drasticamente quella che Simmel chiamava “socievolezza” portandoci a ricercare altri luoghi dove poterci liberare e sentirci parte di qualcosa; la seconda ragione è una stretta conseguenza della prima, perché entrare a far parte di una comunità intangibile ci fa sentire protetti e appoggiati da qualcuno, e ci porta a credere che le nostre azioni non avranno conseguenze nella vita reale in quanto si svolgono spesso nell’anonimato. Soprattutto Facebook e Telegram, come ha sottolineato il ministro, sono diventate le arene perfette per discorsi d’odio e discriminazione nei confronti delle minoranze o degli stranieri, oppure per lo scambio libero e anonimo di materiale illecito.

Era una norma innovativa, ora va resa coerente

Fenomeni come il revenge porn e gli hate speech sono sempre più comuni e hanno visto un pauroso aumento soprattutto nel periodo della pandemia; il Ministro dell’Interno ha dichiarato a proposito in Commissione che il reato via web è l’unico che ha visto una percentuale di aumento considerevole, e ha aggiunto “preoccupa la portata globale raggiunta in pochi anni, favorita dalle tecnologie della comunicazione e dall’anonimato che la rete offre. L’estrema pericolosità del discorso d’odio sta nel fatto che scatena pulsioni antisociali potenzialmente capaci di alimentare forme emulative incontrollate”. Per questo Lamorgese ha chiesto di rivedere e modificare la legge Mancino, redatta nel 1993 per condannare i discorsi d’odio e le azioni discriminatorie, in modo che questa risulti coerente con la realtà che oggi stiamo vivendo, e che includa quindi tutte le interazioni violente e discriminatorie che avvengono on line.

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