Loris Pompa, fratello di Alex – imputato per aver ucciso con 34 coltellate il padre Giuseppe nell’aprile del 2020 – ricorda la paura che si viveva in casa: “Non c’erano giorni belli, a casa mia le cose andavano sempre male o malissimo“.
“Un inferno durato dieci anni. Non ho memoria di momenti felici in famiglia“. E’ con queste parole che Loris Pompa difende il fratello Alex, colpevole dell’omicidio del padre violento, avvenuto la sera del 30 aprile 2020 a Collegno, Comune dell’area della Città Metropolitana di Torino. “Non c’erano giorni belli: a casa c’erano solo giorni che andavano male o malissimo“, ha aggiunto Loris Pompa, prima di raccontare i fatti di quella drammatica sera, confermando, quanto spiegato davanti alla Corte d’Assise.
“Sono rimasto pietrificato, ricordo il sangue ovunque “, ha affermato Loris, cercando di rispondere così al PM, che gli contestava il fatto di essere rimasto inerme mentre il fratello Alex uccideva il padre Giuseppe con 34 coltellate. “Ricordo mio fratello prendere un coltello dalla punta arrotondata e ho anche un’immagine di mio padre con un coltello in mano“, ha aggiunto il giovane, ricordando che quella sera, in casa, le cose andavano peggio del solito: la lite tra i genitori era diventata furiosa perché il padre, “geloso, morboso e possessivo, aveva visto un collega di lavoro poggiarle una mano sulla spalla“. E così al ritorno a casa della moglie – cassiera in un supermercato e quindi impegnata nel lavoro anche durante il primo lockdown della primavera 2020 – l’uomo aveva scatenato la sua ira: “Era cattivo, ha cominciato a insultarla fin dal pianerottolo“.
La voce dell’uomo, trasformata dalla rabbia, è stata ascoltata anche in aula, quando sono stati riproposti diversi audio colmi di insulti e minacce verso la moglie. Alcune delle registrazioni risalgono proprio alla sera in cui il figlio Alex, nel tentativo di difendere la madre, lo uccise. “L’abbiamo registrato perché lui voleva sempre ripulire il telefono dai messaggi e farci apparire come la famiglia del Mulino Bianco. Invece così, se ci avesse ammazzato, i Carabinieri guardando nei nostri telefoni avrebbero potuto capire che tipo era e incriminarlo“, hanno spiegato ancora i figli durante il dibattimento.
In totale sono addirittura 225 le registrazioni segrete che i due ragazzi tenevano nei telefoni cellulari; di queste, 14 risalgono al 2020, quando, con l’arrivo del lockdown imposto all’inizio di marzo per contrastare la diffusione del Coronavirus, la loro vita era diventata “ancora più difficile: un incubo perché l’avevamo in casa sempre, mentre prima almeno nelle otto ore in cui era fuori per lavoro non c’era. Era però più difficile registrarlo perché se ci avesse scoperto ci avrebbe ammazzato“, ha affermato ancora Loris. Mentre Alex, risentendo la voce del padre, è tornato a vivere la paura che quasi quotidianamente lo assaliva in casa, dice.
Il ritratto che emerge è quello di un uomo “malato e pieno di fisse, come spegnere due volte la luce, chiamare le persone due volte, chiudere otto volte la porta di casa. Ci chiudeva tutti dentro. Quella casa era la nostra tomba“. A questo, si aggiungeva la paura che l’ira conducesse il genitore a uccidere la madre, tanto che la vita di Alex e di Loris si era modulata per non lasciarla mai sola: “Non andavamo mai via a dormire fuori, non esistevano i sabato sera con gli amici. Le davamo sempre un abbraccio la sera prima di andare a dormire, un po’ più lungo del solito, nel timore di non rivederla al mattino“.