Maria Angioni, la pm che guidò la prima fase delle indagini sulla scomparsa di Denise Pipitone, denuncia i gravi problemi con cui dovette confrontarsi mentre cercava di scoprire chi avesse fatto sparire la bambina.
Rimane alta l’attenzione attorno al caso di Denise Pipitone, la bambina scomparsa nel 2004 a Mazara del Vallo e per cui, nelle scorse settimane, erano nate grosse speranze in seguito alle dichiarazioni di Olesya Rostova. A parlarne è Maria Angioni, pm che si occupò del caso nella prima fase delle indagini successive alla scomparsa di Denise. Intervistata dalla trasmissione Ore 14, in onda su Rai2, la dottoressa Angioni ha posto l’attenzione su una serie di elementi che resero complicato lo svolgimento delle indagini: dal mancato utilizzo di intercettazioni ambientali – il cui contenuto poteva risultare prezioso, ma divenute inutilizzabili a causa della mancata identificazione delle persone intercettate – fino ai dubbi sulle modalità con cui avvenne il sequestro di Denise, passando per la scarsa collaborazione riscontrata tra popolazione e, in certi casi, polizia giudiziaria.
“A Mazara c’erano dei professionisti che portarono via Denise Pipitone, erano di alti livelli, un livello inusuale“, ha spiegato la dottoressa Angioni. “Io ho chiesto aiuto alla Dda di Palermo. Io non posso dire tanto, non era il contesto normale, era pesante, ho sempre detto che era un gioco pesante“, ha spiegato il magistrato, secondo cui non sarebbe possibile escludere l’ipotesi che il sequestro della bambina possa essere stato messo in atto dalla criminalità organizzata, magari con l’intento di mandare un messaggio a qualcuno: “Secondo me è stata fatta una punizione a una donna, Piera Maggio, e alcune persone non ritengono che sia molto brutto quanto successo ma penso che ritengano che sia giusto che Piera Maggio sia stata in qualche modo punita”, ha aggiunto la dottoressa Angioni, riferendosi alla relazione extraconiugale della mamma di Denise. “Alcune delle famiglie coinvolte in questa vicenda hanno contatti, familiari e altro con personaggi della mafia“, ha spiegato ancora la pm. “Io ho trasmesso alcune informazioni alla Dda poi quello che sia successo non ho idea”.
Un quadro inquietante, cui si aggiungono le estreme difficoltà riscontrate nel condurre le indagini: “Abbiamo avuto grossi problemi. Abbiamo capito che dopo tre giorni tutte le persone sottoposte a intercettazioni già sapevano di essere sotto controllo” ha detto ancora la pm. “A un certo punto, quando ho avuto la direzione delle indagini, ho fatto finta di smettere di intercettare e poi ho ripreso da capo con forze di polizia diverse, nel disperato tentativo di salvare il salvabile”.