Mascherine senza protezione acquistate dalla Cina mentre la gente moriva. Domenico Arcuri indagato

L’ex Commissario Straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri è finito sotto inchiesta per un episodio risalente al primo lockdown. Ecco cosa succede.

Arcuri mascherine 11 aprile 2021 leggilo.org
Getty Images/Marco Di Lauro

Una partita di mascherine provenienti dalla Cina, molte delle quali prive della certificazione di sicurezza: è questo l’episodio sospetto che ha visto Domenico Arcuri indagato per peculato secondo le autorità che stanno vagliando quanto accaduto. Il caso risale al periodo del primo lockdown, quando il nostro paese – come altri dell’Unione Europea – si trovò proiettato per la prima volta nell’incubo della pandemia di Coronavirus e nella conseguente corsa alle mascherine protettive per limitare i contagi dopo un iniziale periodo in cui gli strumenti sanitari in questione prima diffusi anche in farmacia erano divenuti difficilissimi se non impossibili da reperire. Tra il 26 marzo ed il 15 aprile, Domenico Arcuri, incaricato del ruolo di Commissario Straordinario per l’emergenza dal Premier Giuseppe Conte stipulò tre contratti con altrettante società cinesi per l’acquisto di gran parte delle mascherine necessarie al paese. Due società tra le tre interessate però sono finite al centro di un’indagine per peculato che inevitabilmente ha finito per toccare anche Arcuri stesso. L’accusa mossa verso l’ex Commissario è di appropriazione indebita contestata a pubblici ufficiali ed è motivata dal fatto che all’interno del carico di mascherine ricevuto dal nostro Paese nel periodo di aprile sono state individuati ben 60 milioni di dispositivi protettivi monouso privi della guarnizione filtrante che avrebbe realmente protetto l’utilizzatore: in poche parole, molte delle mascherine acquistate dalla Cina risultarono difettose e prodotte in modo non conforme.

Al centro dello scandalo ci sono tre aziende con cui Arcuri stesso avrebbe preso i contatti per l’operazione di acquisto dei dispositivi sanitari. In particolare, secondo quanto si legge negli atti, la Wenzhou Light Industrial ovvero una delle aziende coinvolte nell’affare avrebbe dei precedenti legati al presunto riciclaggio di denaro: infatti, la WLI ha ricevuto tra il 2010 ed il 2014 una cifra di 5 milioni di euro legata a delle presunte frodi fiscali mai del tutto chiarite. Un’altra società interessata dallo scandalo – la Loukai Trade – risulta rappresentata negli atti firmati per la concessione delle mascherine ad Arcuri da un uomo di nome Zhongcai Cai, residente in realtà nella Capitale nel quartiere del Quadraro, un particolare che ha portato gli inquirenti a sospettare che l’azienda sia implicata in un caso di peculato.

Tutti questi particolari hanno spinto gli investigatori ad aprire un’inchiesta per capire se l’acquisto delle mascherine rivelatesi difettose fosse al centro di un episodio di riciclaggio ed appropriazione indebita di denaro pubblico, reato per cui adesso – oltre ai quattro indagati già presenti nel registro degli inquirenti – forse dovrà rispondere anche Arcuri in persona. L’ex Commissario ha commentato l’accaduto proclamandosi innocente: “Non ho notizia di quanto hanno riportato i giornali. Continuerò, a collaborare con le autorità inquirenti nonché a fornire loro ogni informazione utile allo svolgimento delle indagini”, fa sapere Arcuri, ribadendosi estraneo ai fatti ed intenzionato a fare luce sull’episodio. In un modo o nell’altro, la gestione dell’emergenza nei primi mesi della pandemia non ha ancora smesso di sollevare polemiche e questioni legali.

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