Diversi studi evidenziano come, per via della loro natura conviviale, bar e ristoranti siano tra i luoghi pubblici a più alto rischio di contagio.
Il tema è di quelli sempre al centro della discussione politica: la riapertura serale di bar e ristoranti – e più in generale la concessione di regole più morbide per far tornare a lavoro queste attività – scalda animi e dibattiti e occupa buona parte della scena, nonostante vi siano altri settori – pensiamo a palestre e piscine, ma anche a tutto il comparto dello spettacolo, della cultura e dell’organizzazione di eventi – costretti a chiusure praticamente dall’inizio della crisi pandemica, un anno fa. Eppure le restrizioni imposte alle attività di somministrazione – e le proteste chi in queste attività ha investito – tendono ad avere maggiore risalto rispetto ad altre, altrettanto sfortunate, categorie di lavoratori.
In molti, anche tra le forze politiche, con il cambio di Governo sono tornati a spingere affinché bar e ristoranti possano tornare ad aprire anche di sera, sulla scorta di un ragionamento – che, come minimo, tende un po’ a semplificare la situazione – secondo il quale “se si può mangiare fuori in sicurezza a pranzo, allora lo si può fare anche a cena“. D’altra parte è innegabile come le prolungate chiusure stiano danneggiando in maniera pesantissima un settore cruciale nel nostro sistema economico, con il rischio, per giunta, di una consegnare molte di queste attività – strozzate da condizioni economiche ormai insostenibili – al mondo della criminalità organizzata.
Ma quali sono le ragioni per cui, a detta di gran parte del mondo scientifico, questo tipo di locali è considerato tra i luoghi pubblici a più alto rischio Covid? Utile, in questo senso, è uno studio pubblicato su Jama dal Covid-19 Response team dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti, che, sulla base di una serie di studi caso-controllo, evidenzia il livello di rischio che si può associare a diversi contesti della vita quotidiana. Le ricerche svolte hanno utilizzato un gruppo di confronto per identificare quali sono le attività più rischiose: sotto la guida dell’epidemiologa Kiva Fisher, sono state poste a confronto le abitudini – come, ad esempio, indossare la mascherina e svolgere attività nella comunità – di 314 persone, di cui 154 positive e 160 negative al Coronavirus.
Dalla ricerca, successivamente pubblicata su Morbidity and Mortality Weekly Report, è emerso come esista un’associazione tra l’infezione da Coronavirus e lo svolgimento di determinate attività, tra le quali mangiare nei ristoranti e frequentare bar e caffetterie: le persone positive al tampone, infatti, avevano più del doppio delle probabilità di essersi recate in luoghi pubblici dove si consumano cibi e bevande.
D’altra parte, alcuni elementi appaiono di tutta evidenza: mangiare e bere sono attività che, per forza di cose, si svolgono senza indossare le mascherine. Per di più, rappresentando nella gran parte dei casi pranzi e cene momenti di convivialità e socialità, vicinanza, confronti, discussioni sono all’ordine del giorno. Se tutto questo avviene all’interno di locali chiusi – in cui non sempre è possibile garantire la necessaria areazione – l’eventuale presenza di un positivo, magari asintomatico – fa sì che attraverso il droplet il virus rimanga in circolazione all’interno del locale, rischiando di infettare alcuni dei presenti. Il tutto nonostante la buona volontà – che non si può non riconoscere a molti dei gestori di bar e ristoranti – nel rispettare le norme sul distanziamento tra gli avventori.
“Ciò che accomuna queste attività è che sono incompatibili con l’uso della mascherina quando si mangia o si beve, comportano un’esposizione prolungata e intensa ad altre persone che potrebbero essere infette e potenzialmente asintomatiche, e durante le quali può essere difficile mantenere il distanziamento interpersonale“, evidenziano gli esperti.
Un quadro di informazioni che permette ai ricercatori di “identificare comportamenti o attività associate a un aumento del rischio di contagio e possono essere utilizzati per focalizzare le strategie di contrasto e informare correttamente le persone“. Ma la ricerca e l’analisi generale dei comportamenti da tenere – o da evitare – devono essere, concludono gli scienziati, “continuamente rivalutate durante la pandemia, anche durante le campagne di vaccinazione, adattando le strategie di prevenzione alla situazione e al contesto locale, sulla base di dati”.
Il morbo di Alzheimer è una delle malattie più devastanti del nostro tempo, colpisce circa…
Il tumore è una delle patologie più diffuse a livello globale, eppure poche persone…
Una nuova minaccia sta mettendo in allerta i cittadini italiani, e potrebbe provenire direttamente dal…
Un'opzione nascosta su WhatsApp che potrebbe cambiare il modo in cui usi l'app ogni giorno.…
Acquistare una nuova abitazione richiede un impegno economico rilevante. Che si tratti di una prima…
Sempre più aziende permettono ai propri dipendenti di lavorare in smart working, ovvero di svolgere…