Rabbia e malcontento nel M5s per le scelte di Mario Draghi, che ieri ha reso nota la lista di Ministri che comporranno il suo Governo.
“Ne valeva la pena?“. Sono passati pochi istanti dall’annuncio della squadra di Ministri da parte del Premier Mario Draghi, quando Alessandro Di Battista – in agguato – affida a Facebook la propria reazione. Che è un commento sul nuovo Governo e sulla decisione del Movimento 5 Stelle di farne parte. “Ne valeva la pena?“: una sentenza, più che una domanda retorica, quella dell’ex grillino ribelle, convinto che con il voto di due giorni fa su Rousseau si sia aperta l’ultima, finale fase dei 5 Stelle, fagocitati da quel sistema che dovevano combattere e che si appresta ora a stritolarli definitivamente.
Ma Dibba non è l’unico a masticare amaro tra i grillini, tra le cui file l’umore è nero: “Siamo stati umiliati“, dice un viceministro. Ed è solo una goccia nel mare di rabbia a 5 Stelle. A poco serve la conferma di Luigi Di Maio agli Esteri: tutti, in questo momento, guardando ai numeri, con il Movimento che porta a casa 4 ministeri, appena uno in più rispetto a quanti ne ottengono PD, Lega e Forza Italia. Una decisione inaccettabile, per chi rappresenta gruppo di Maggioranza relativa in Parlamento, con oltre il 30% dei voti ottenuti nel 2018. E c’è di più: nessuna delle caselle affidate al Movimento è destinata a muovere soldi in maniera consistente. Nessun Ministero di spesa: lo Sviluppo Economico scivola dalle mani di Stefano Patuanelli – che passa all’Agricoltura – a quelle, leghiste, di Giancarlo Giorgetti: una beffa nella beffa. n
Anche dai diretti interessati filtra una certa delusione: lo stesso Di Maio affida ad un eloquente silenzio la propria reazione, fatta di rammarico per le scelte di Draghi nel metodo – solitario, senza alcuna forma di collaborazione con le forze politiche – che nel merito. L’unico che coglie aspetti positivi, nell’area 5 Stelle, è l’ex Premier Giuseppe Conte, che fa notare come molti dei nomi della squadra del Salvatore della Patria siano conferme dai suoi due precedenti Governi.
Ma le nomine che bruciano di più, tra i grillini, sono due: quella di Roberto Garofoli a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – dopo un passato da capo di gabinetto dell’allora Ministro Giovanni Tria – e quella di Daniele Franco, promosso da ragioniere dello Stato a Ministro dell’Economia. Caselle pesanti, dalle quali dipendono decisioni importanti, occupate ora da due personaggi che, ai tempi del primo Governo Conte, quello della maggioranza giallo-verde, erano visti come i migliori rappresentanti di quella classe di tecno-burocrati che il Movimento si proponeva di spazzare via. Il Movimento chiese, ottenne e sbandierò come una vittoria politica il loro allontanamento: memorabile l’audio di Rocco Casalino che, rivolgendosi ad alcuni giornalisti, annunciava una “megavendetta” nei confronti di alcuni dirigenti del Tesoro.
E così, nella testa dei grillini rimbombano quelle parole: “Ne valeva la pena?“. Il declassamento vissuto dal Movimento – da colonna portante dei due Esecutivi Conte, a forza non più indispensabile nel Governo Draghi – è di tutta evidenza. Nelle chat di gruppo dei 5 Stelle la rabbia scorre come un fiume in piena, soprattutto nei confronti di chi, l’appoggio a questo Governo, l’ha fortemente voluto dopo aver guidato il Movimento attraverso la crisi aperta da Italia Viva: quel Vito Crimi ormai apertamente nel mirino di gran parte dei parlamentari del gruppo: “Dobbiamo fare il punto della situazione prima del voto, per capire chi ha fatto ste trattative. Poi magari decidiamo se dargli una medaglia o insegnargli la matematica“, scrive qualcuno. “Tutta l’industria in mano alla Lega, oltre al Turismo“, commenta, laconico, qualcun altro. Una parlamentare non crede ai suoi occhi: “Ci hanno asfaltato totalmente. Lega e Forza Italia contano più di noi“, mentre in molti fanno notare come, rispetto al precedente Esecutivo, la squadra di Ministri sia fortemente orientata a Nord.
E allora chissà se quello del Dibba, alla fine, sarà davvero un addio. O se invece, con una buona parte del Movimento in subbuglio e magari pronta a rispolverare le armi delle origini – quelle della contestazione, dal fronte dell’Opposizione – la sua domanda retorica non sia altro che la premessa di un clamoroso ritorno in scena.