Approfittando dell’emergenza sanitaria, le amministrazioni pubbliche hanno sostanzialmente interrotto la comunicazione dei dati relativi alle auto blu a loro disposizione.
“Vorrà dire che i sottosegretari andranno a piedi“, twittava, fiero, Matteo Renzi quando, subito dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi, annunciava la sua personalissima guerra contro dei simboli più rappresentativi del privilegio della classe politica: le auto blu. Un piano ambizioso, quello dell’ex sindaco di Firenze, che aveva annunciato la vendita di migliaia dei mezzi di trasporto messi a disposizione della politica, decisa addirittura per decreto nel 2014. Da allora, però, poco o nulla è cambiato. Il Governo Renzi, dati alla mano, finì per sbarazzarsi di appena un migliaio di auto blu – una cifra irrisoria rispetto al mastodontico piano previsto dall’ex Premier – mentre negli anni successivi, nonostante la crescente rappresentanza parlamentare ottenuta dal Movimento 5 Stelle – che inaugurò la legislatura in corso con le famose passeggiate del Presidente della Camera Roberto Fico da Palazzo Madama al Quirinale – il tema pare sparito dai radar.
Anzi, quest’anno, approfittando della pandemia, le amministrazioni pubbliche hanno addirittura rinunciato a comunicare il numero complessivo di vetture in loro possesso, portando all’insabbiamento del censimento annuale delle supercar, la cui responsabilità appartiene al Ministero della Funzione Pubblica, da cui fanno sapere che è stata “troppo bassa la percentuale di adesione degli enti pubblici all’indagine, crollata ai minimi storici“, ragion per cui “i dati raccolti non sono rappresentativi“.
Certo, il fatto che la conta e la caccia alle auto blu si interrompano proprio con il Movimento 5 Stelle al Governo – per un periodo, per altro, insieme all’altro paladino del contrasto alle berline Renzi – dice molto sulla trasformazione che la forza politica anti-casta ha subito negli ultimi anni. E se, da questo punto di vista, la questione delle auto blu rappresenta simbolicamente una mutazione genetica ancora in corso, la prova definitiva è arrivata negli ultimi giorni con il – faticoso e contestato – via libera grillino al Governo dell’ex presidente della Bce Mario Draghi.
Tornando alle auto blu, gli ultimi dati disponibili risalgono al 31 dicembre 2018 e furono pubblicati nel maggio dell’anno successivo dall’allora Ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno: al censimento parteciparono, all’epoca, l’80% delle amministrazioni e si arrivò a conteggiare un totale di 33 mila vetture, di cui appena 3 mila classificate come auto blu. In realtà, secondo il Ministero, si può agilmente considerare come quelle realmente in circolazione siano circa un 20% in più. Ma con la pandemia è scattato una sorta di liberi tutti. O almeno, così è stato valutato dalla stragrande maggioranza delle amministrazioni pubbliche, che hanno quasi completamente spento la luce sulla questione dei mezzi a loro disposizione.
Un silenzio che parte dai Comuni – proprietari a vario titolo di almeno 16 mila veicoli, circa la metà del totale. Più basse le cifre che riguardano Regioni, Province e Città Metropolitane, la cui flotta si stima attorno alle 3 mila unità. Scalando ancora la gerarchia delle istituzioni, Palazzo Chigi – sempre secondo i dati del 2018 – dispone di 166 mezzi, di cui 70 supercar: a guidare la speciale classifica interna al Governo era, allora, il Ministero delle Infrastrutture con 96 veicoli a disposizione, di cui 10 a uso esclusivo con autista.
Importanti anche i dati del Comune di Roma, che dichiarava 133 auto, di cui 131 con autista: sei volte in più rispetto a quanto non avvenisse a Milano, che si fermava a 22 mezzi, di cui 17 con autista. Anche in Abruzzo gli spostamenti erano ritenuti, almeno fino al 2018, fondamentali dall’amministrazione regionale: 119 le auto a disposizione – di cui 8 blu – mentre in Sardegna ci si fermava a 84, delle quali ben 55 supercar con autista incluso. Anche Campania – 59 mezzi – e Calabria – 58 – non stavano, comunque, a guardare.
L’obbligo di comunicare i dati relativi alle auto di servizio è in vigore per le pubbliche amministrazioni dal 2014. Ma già per e informazioni relative al 31 dicembre 2019 le scadenze erano state prorogate per ben due volte per effetto dell’emergenza sanitaria in corso: la prima proroga fissava la scadenza al 30 settembre, la seconda al 23 novembre. Ma nemmeno la concessione di tempi più lunghi del normale ha messo le amministrazioni in condizione di comunicare dati la cui elaborazione, ci pare di poter affermare, non dovrebbe richiedere calcoli di estrema difficoltà.
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