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Politica

Rousseau, per salvare il Movimento non si vota più. “Draghi è uno di noi” dice Grillo

Tensione alle stelle nel Movimento 5 Stelle: la decisione di Beppe Grillo di rimandare il voto sul sostegno al Governo Draghi nasconde tutte le contraddizioni di una forza politica sul punto di esplodere. 

Beppe Grillo/Filippo Monteforte, Getty Images

Rinunciare al voto per cercare di salvare il Movimento 5 Stelle. Sembrerebbe questo il ragionamento fatto da Beppe Grillo, capo carismatico e fondatore della forza politica che, nata anti-sistema e cresciuta negli anni sul malcontento dei cittadini nei confronti della politica, si trova ora ad affrontare una clamorosa crisi interna, con due anime contrapposte pronte a darsi battaglia.

Da una parte i “governisti“, rappresentati da tutto l’apparato dirigente del partito, convinto che l’appoggio al nascente Esecutivo Draghi – che comporterebbe, per il Movimento, l’ingresso in ben tre diverse Maggioranze nell’arco di circa 3 anni – sia la strada da percorrere; dall’altra i ribelli – stimati in circa una ventina di parlamentari, già polemici verso l’ultimo tentativo di dare vita ad un Conte ter con il ritorno in Maggioranza di Italia Viva – guidati da Alessandro Di Battista, che continua a lanciare bordate su Mario Draghi, “apostolo delle elites” e incarnazione di tutto quello che il Movimento si proponeva di combattere.

Due giorni fa era stato Davide Casaleggio in persona a decidere che, di fronte alla scelta sull’atteggiamento da tenere rispetto al Premier incaricato, fosse necessaria una consultazione degli iscritti alla piattaforma Rousseau. Un po’ come era avvenuto nel 2018, prima della nascita del primo Governo Conte, e nell’estate dell’anno successivo, alla vigilia della nascita del secondo Esecutivo dell’avvocato. Ma nella serata di ieri l’intervento di Beppe Grillo, che ha annunciato la sospensione del voto, ha fatto saltare il banco.

Al di là delle motivazioni ufficiali poste dal fondatore del Movimento – che chiede alla base “pazienza“, dopo un faccia a faccia in cui Draghi gli avrebbe “dato ragione su tutto” – appare di tutta evidenza che un voto di questo tipo – nel momento di massima tensione interna ai 5 Stelle, con lo scenario di una scissione che si fa sempre più realistico – potrebbe rappresentare il detonatore capace di far esplodere, forse in maniera definitiva, la formazione politica grillina.

D’altra parte nel pomeriggio di ieri il fronte interno al Movimento schierato per il “no” al Governo Draghi aveva cominciato a muoversi, lanciando sulla piattaforma Zoom un nuovo V Day, con evidente riferimento alle origini dei 5 Stelle, dal titolo inequivocabile: No Governo Draghi. L’evento, creato da Luca Di Giuseppe, uno dei volti emergenti della galassia Rousseau, prevedeva la partecipazione di “portavoce, attivisti, giornalisti, intellettuali“, tra i quali la senatrice – storicamente vicina alle posizioni di Alessandro Di Battista – Barbara Lezzi. “Confrontiamoci con serietà, senza fumo negli occhi, ma guardando al bene del Paese e alla sopravvivenza del M5s che non deve perdere la sua etica“, ha scritto sulla sua pagina Facebook l’esponente 5 Stelle, che ha rilanciato il link dell’evento anti-Governo. “Il M5s non può accettare di condividere il governo con Lega e, ancora di più, con Silvio Berlusconi“, anche perché, precisa nel post l’ex Ministro per il Sud, si tratterebbe di un Governo capace di contare su una base parlamentare tanto ampia da far sì che il Movimento non rappresenti, come avvenuto nei due ultimi casi, il partito di Maggioranza relativa: “potremmo incidere molto meno di quanto fatto fino ad ora perché non avremmo neppure espresso il Presidente del Consiglio. Saremmo ininfluenti e perderemmo per sempre la nostra reputazione. La nascita di questo governo ha avuto come obiettivo quello di far fuori Conte e di eliminare il tratto distintivo del M5s“, conclude Lezzi.

Intanto, dalle altre forze politiche arrivano conferme sul pieno sostegno a Mario Draghi: dalla Lega al Partito Democratico, passando per Forza Italia, tutti i partiti convergono con decisione sul nome dell’ex Presidente della Bce, rinunciando, almeno a parole, a porre veti. Un idillio probabilmente destinato a spezzarsi non appena il nuovo Esecutivo sarà chiamato a prendere decisioni pesanti su temi storicamente divisivi per le forze della nuova, larghissima Maggioranza.

 

 

Pubblicato da
Lorenzo Palmisciano

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