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Politica

Il Quirinale chiude la porta. Giuseppe Conte ha tentato l’ultimo azzardo e ora deve uscire di scena

Dopo gli ultimi, disperati tentativi, Giuseppe Conte deve arrendersi all’evidenza: la sua esperienza a Palazzo Chigi è arrivata al capolinea. 

Giuseppe Conte/Filippo Monteforte, Getty Images

Fine corsa. Dopo averle provate tutte, dopo aver resistito, sfidato i numeri in Parlamento, cercato disperatamente pattuglie di responsabili; dopo essersi dimesso sperando in una reincarnazione – più che in un reincarico – Giuseppe Conte ha gettato la spugna. Le comunicazioni del Presidente della Repubblica arrivano nel suo studio come un gong, come il triplice fischio al termine di una partita andata male. E il nome di Mario Draghi fa calare il sipario tanto sull’agognato Conte ter, quanto sull’alternativa preferita: la elezioni, con una lista personale per rimanere in campo. “Per citare il poeta, sono sereno…“, dice l’ex Premier ai Ministri, ai fedelissimi che lo contattano per esprimere solidarietà e vicinanza. “Renzi aveva già un accordo con il centrodestra. Salvini e Berlusconi gli hanno garantito che ci staranno, altri non potranno che accodarsi” ripete e si ripete Conte, frastornato, deluso, sconfitto.

Si guarda indietro, ripensando alle ultime mosse e guardando con rammarico alla scelta di rassegnare le dimissioni: “se non avessi fatto quel passo forse, ora…“, rimugina l’avvocato. Ma ormai è tardi, la strada presa dal Paese è un’altra, al termine di una giornata di contatti e tentativi frenetici, ma, a ben vedere, già disperati. Le telefonate con il pontiere PD Dario Franceschini, quelle con il leader vicario del Movimento Vito Crimi, le richieste di Renzi. E poi la fine dei tentativi di mediazione, la rottura finale, lo stop alle trattative, arrivato sui nomi – irrinunciabili per l’avvocato – di Bonafede, Azzolina, Patuanelli e Fraccaro, e preannunciato dall’addio ai grillini del giornalista Emilio Carelli, pronto a migrare nel Centrodestra. Un passaggio che simbolicamente – dopo le settimane di caccia ai Senatori disposti a fare il percorso inverso – chiude il cerchio. E l’esperienza di Conte a Palazzo Chigi. Una strada che era già segnata e che l’incarico esplorativo affidato al Presidente della Camera Roberto Fico aveva ampiamente tracciato.

Eppure, fino all’ultimo, lui ha sperato in un esito diverso, consigliato anche da Goffredo Bettini – il regista delle strategie Dem – che gli indicava la strada: “possiamo spaccare Italia Viva, Giuseppe, così Renzi accetterà di ricucire“. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, puntando sul fatto che tutto alla fine potesse saltare e portando il Paese dritto a quelle elezioni che vedrebbero l’avvocato correre con l’ambizione di riprendersi il posto che è stato costretto a lasciare. “A Palazzo Madama 70 senatori sono con te, se votiamo a giugno possiamo vincere“, gli hanno ripetuto i più fedeli collaboratori in questi giorni”.

L’intervento di Mattarella, materializzatosi sullo schermo per spazzare via sogni e ambizioni dell’avvocato, ha riportato bruscamente la realtà nel castello di carte che Conte aveva tentato di costruirsi. Ora, i ragionamenti dell’ex Premier dovranno concentrarsi su altro: assecondare la nascita del Governo Draghi, o mettersi, disperatamente di traverso? In fondo, la scelta è già stata fatta, ma le modalità con cui il nuovo Esecutivo prenderà vita diranno qualcosa anche sulle volontà future di Conte.

Perché il Movimento 5 Stelle, di fronte alla calata da Bruxelles di quello che Alessandro Di Battista, ieri sera, ha tempestivamente definito un “Apostolo delle élite” pare destinato a spaccarsi e il Premier uscente, sul futuro della formazione grillina, si gioca anche il proprio avvenire. Non a caso c’è chi lo spinge a soffiare sul fuoco, a cavalcare l’onda dei poteri forti imposti dall’Europa, a scendere in campo, guidando la formazione di chi chiede a gran voce le elezioni, mostrandosi come la vittima di una terribile congiura di palazzo. “Fai una tua lista, sarai il nostro candidato Premier“, gli dicono – per la verità senza troppa convinzione – anche alcuni esponenti PD.

E Conte ci pensa. L’idea di una lista personale è viva da tempo, ma il momento non sembra essere quello adatto. L’appello del Presidente della Repubblica risuona nella testa del Premier uscente, che non pare pronto a mettersi contro il Colle. Ma allora, cosa farà, da grande, l’avvocato? Potrebbe tornare alla propria professione, oppure potrebbe entrare nella squadra del nuovo Esecutivo, magari come Ministro degli Esteri. Fare il leader della coalizione giallorossa? Scalare il Movimento per trasformarlo in una forza strutturalmente europeista e alleata al PD? Le ipotesi restano sul tavolo, ma il dato con cui Conte dovrà necessariamente confrontarsi è un altro: non è più lui a dare le carte. Il nuovo Governo potrebbe restare in carica fino alla fine della legislatura e da qui al 2023, troppa acqua passerà sotto i ponti. Forse, abbastanza da far dimenticare agli italiani quell’avvocato del popolo che sognava di fare il Presidente del Consiglio.

 

Pubblicato da
Lorenzo Palmisciano

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