Il neuropsichiatra dell’infanzia Stefano Vicari spiega i rischi dell’utilizzo di social e internet da parte di giovani in età inferiore ai 12 anni.
Lasciare i propri bambini da soli e con la piena libertà di navigare su internet e sui social network attraverso uno smartphone? Mai. A consigliarlo ai genitori è il responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, Stefano Vicari, che in un’intervista al quotidiano La Repubblica prova ad offrire il proprio punto di vista ed il proprio contributo a partire dalla drammatica vicenda di Antonella Sicomero, la bambina di 10 anni morta a Palermo probabilmente a causa di una sfida raccolta attraverso il social Tik Tok.
“Un genitore lascerebbe mai un bambino attraversare la strada da solo a 10 anni? Per il cellulare vale la stessa regola“, spiega Vicari, ricorrendo ad una metafora forte tanto quanto chiara. “Tutti noi adulti dobbiamo essere consapevoli che nella maggior parte dei casi le letture e le interpretazioni che un bambino dà di ciò che vede sui social sono dannose“, prosegue ancora il neuropsichiatra, che sottolinea come – per i genitori con figli ancora piccoli – la raccomandazione sia “sempre la stessa: verificare l’uso che i bambini fanno degli smartphone“. Senza lasciare loro piena libertà di muoversi nella rete, dove messaggi e comunicazioni fuorvianti e pericolosi possono essere all’ordine del giorno. “Negli Usa le linee guida dei pediatri richiedono che i bambini non vedano la televisione da soli prima dei 5 anni e non utilizzino uno smartphone prima dei 12. Le insidie sono reali e sconosciute per noi adulti“, dice ancora Vicari.
In questi giorni, la vicenda di Palermo ha scatenato una miriade di commenti e valutazioni, spesso affrettate e non sufficientemente documentate – oltre che quasi sempre poco rispettose del dolore dei familiari della piccola Antonella. “Non possiamo dire che i social siano la causa dell’autolesionismo“, precisa il medico del Bambino Gesù, “ma possono diventare strumento se non veicolo. Tra i giovani che vengono in cura da noi abbiamo registrato tanti casi di emulazione nati proprio dai social o più in generale da internet e ragazzi che si confrontano su quanti tagli si sono fatti sul corpo“.
Ad aggravare ulteriormente i pericoli e le insidie che, potenzialmente, la rete nasconde per le fasce più giovani della popolazione, è arrivata la pandemia, con le pesanti limitazioni alla libertà di movimento: più tempo passato in casa si traduce, nella stragrande maggioranza dei casi, in più tempo passato su internet e sui social: “Abbiamo registrato che l’uso dei cellulari e dei social è aumentato tantissimo in questi mesi“, conferma Vicari. “Molti nostri giovani pazienti ci raccontano che in questo periodo trascorrono ore intere sui social e questo ha un effetto dannoso sulla loro psiche“.
In generale, spiega ancora il neuropsichiatra, l’autolesionismo è un fenomeno particolarmente diffuso tra i giovani, tanto da riguardare in media un ragazzo su quatto, in Europa: “Il 25% dei giovani europei e il 20% degli italiani lo pratica. Per molti di loro la causa primaria è la depressione, ma anche l’angoscia, la noia, e il desiderio smodato di adrenalina“.
Tutti elementi amplificati dal difficile contesto imposto dalla crisi pandemica e che possono trovare, sui social network, canali di diffusione potentissimi, rendendo ancor più alto il rischio di emulazione. E probabilmente non è un caso che anche alcuni giganti della tecnologia – che proprio grazie allo sviluppo di internet e dei social network hanno costruito imperi economici – adottino regole ferree quando si tratta di regolamentare l’utilizzo di questi strumenti da parte dei loro figli. E’ il caso di Bill Gates, fondatore di Microsoft, che, come dichiarato in un’intervista a The Mirror, spiega di aver fissato orari in cui ai suoi ragazzi è sempre proibito l’utilizzo di dispositivi elettronici – durante i pasti e prima di andare a dormire. Inoltre, Gates non ha permesso ai propri figli “di utilizzarli prima dei 14 anni, nonostante si siano sempre lamentati di non essere ‘al passo’ con gli altri compagni“.
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