I numeri a supporto del Premier sono sempre più incerti e la conta al Senato non ha dato i risultati sperati. Giuseppe Conte appare sempre più in bilico e la crisi potrebbe evolversi in modo inaspettato.
Ad appena tre giorni dalla conta in Senato da cui, tutto sommato, con 156 voti il Premier si è salvato, Giuseppe Conte appare di nuovo in bilico. I numeri, in effetti, sono troppo esigui per tenere in piedi una Maggioranza fino alla fine della legislatura. E forse l’avvocato del popolo questo lo sa, infatti – voci di corridoio – affermano che ha già depositato nome e marchio di un suo nuovo partito presso un notaio romano. L’esigenza ora è allargare la Maggioranza anche a costo di scendere a compromessi offrendo incarichi importanti a coloro che accetteranno di entrare nella squadra dei “costruttori”. Ma le possibilità di rafforzare la base a supporto del Premier iniziano a scemare.
Ammettendo anche che due o tre renziani abbandonino il loro leader al suo destino, mancherebbero comunque ancora 2/3 senatori per la Maggioranza assoluta. E, in ogni caso, i senatori di Italia Viva sono ben distanti dal nuovo progetto popolarista e centrista che Conte vuole mettere in piedi a Palazzo Madama. Per raggiungere la soglia di 161 parlamentari fissata dal Quirinale, l’ultima speranza sembra essere Forza Italia. Ma dai corridoi degli Azzurri giungono voci che smentiscono un interesse dei forzisti a cambiare casacca. Senza contare che il voto previsto la settimana prossima in Senato sulla giustizia non è il terreno migliore per convincere un parlamentare di Forza Italia a passare in Maggioranza a fianco dei Cinque Stelle, da sempre appellati come “giustizialisti”.
Il rischio è che il Governo debba arrendersi. In caso di caduta, Conte chiederà agli alleati di andare subito al voto, convinto di rientrare a Palazzo Chigi forte del consenso degli italiani. Un suo ipotetico partito indipendente – stando ai sondaggi – raggiungerebbe addirittura il 17% dei voti. Voti che, tuttavia, sottrarrebbe soprattutto a Cinque Stelle e Dem mentre restarebbero intatti i consensi dell’elettorato verso i partiti di Opposizioni. Ma ci sarebbe anche un altro possibile scenario, meno confortante per l’avvocato del popolo: le elezioni, in questa situazione di emergenza sanitaria, non avverrebbero prima di maggio/giugno. Nel frattempo potrebbe nascere un Governo ponte. Il rischio, tuttavia, è che questo Governo ponte diventi poi un inquilino scomodo e di cui non ci si libererà prima del 2023. Se ora cade Conte, il Partito Democratico – quasi inevitabilmente – si scinderà. Verrebbero a galla le tre differenti anime del PD: coloro che andrebbero subito al voto con Conte; coloro propoensi ad allungare di nuovo la mano all’ex collega Matteo Renzi; coloro disposti anche ad aprirsi al Centrodestra per un Governo istituzionale.
Ipotizzando che prevalga la linea dell’andare subito incontro a nuove elezioni, il rischio è di consegnare l’Italia nella mani di Matteo Salvini e Giorgia Meloni e, tra breve, Marcello Pera o affini al Quirinale. Il Centrodestra unito avrebbe la meglio in buona parte dei collegi uninominali, dove il Pd, in quanto alleato dei Cinque Stelle, subirebbe la concorrenza anche del cartello Calenda-Bonino-Renzi.
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