Dopo il voto di fiducia di ieri al Senato, per Conte si apre una nuova fase: quella delle trattative per allargare la Maggioranza e modificare la squadra di Governo.
Incassata, con il fiatone e tra mille polemiche, la fiducia del Senato, il Premier Giuseppe Conte potrebbe salire già oggi al Quirinale. L’idea del Presidente del Consiglio, però, non è quella di rassegnare le dimissioni. La Maggioranza, pur se relativa, c’è. E anche se instabile, esposta a rischi ed imboscate, l’Avocato vuole andare avanti. “Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa Maggioranza. Priorità a vaccini, Recovery e dl Ristori“.
Nei fatti è come se questa crisi – che poi non si è nemmeno mai aperta formalmente, visto che il Premier non si è mai dimesso – entrasse oggi in una nuova, probabilmente decisiva, fase: adesso si aprono le trattative vere. Si parla di quel patto di legislatura promesso a più riprese e mai definito; ma anche di allargare la Maggioranza e cambiare, di conseguenza, la squadra di Governo.
D’altra parte quell’annuncio di Conte sulla sua “rinuncia alla delega all’Agricoltura” appare come un invito a chi sia in cerca di incarichi di peso. Ma nuove trattative possono portare nuove polemiche e tensioni interne: PD e Movimento 5 Stelle premono per le dimissioni, con un reincarico dal Presidente della Repubblica che apra la strada ad un Conte ter. Un modo, ragionano in Maggioranza, per convincere ad uscire allo scoperto anche quei “responsabili” rimasti nell’ombra ma pronti a farsi avanti di fronte ad un serio rimescolamento delle carte.
Sicuramente ci vorrà qualche giorno: non meno di un paio di settimane, fanno sapere da Palazzo Chigi. Tempo utile per sistemare i dettagli dei negoziati che verranno.
Ma molti, tra PD e 5 Stelle, hanno fretta: cambiare Ministri, equilibri e rapporti di forza nel Governo. E farlo subito. Conte però pensa a una controproposta: concordare, con il Colle, un “rafforzamento” della squadra. Non un rimpasto, ma un allargamento – attraverso decreto – dei posti a disposizione fino a 70 tra Ministri e sottosegretari: ci sarà posto per tutti, pare dire l’avvocato, pronto a spacchettare Ministeri attualmente accorpati – Trasporti-Infrastrutture, Cultura-Turismo e Sport-Giovani – e a mettere in palio i due Dicasteri mollati da Italia Viva, utili a corteggiare nuovi “responsabili“. E se uno andrà certamente al gruppo di Bruno Tabacci, che alla camera ha raccolto diversi ex M5S, l’altro potrebbe finire a Riccardo Nencini, sceso ieri in corsa dal treno di Italia Viva per rimanere in Maggioranza e potenzialmente capace di trainare dietro di sé una piccola pattuglia di Senatori.
Discorso simile vale per i centristi dell’Udc – contrari alla fiducia di ieri ma possibilisti per il futuro: con loro le trattative non sono interrotte. Il capodelegazione PD Dario Franceschini è attivissimo in questo senso: fautore della stabilità, il Ministro dei Beni Culturali è tra le poche voci che non premono per modificare in modo sostanziale la squadra di Governo, preoccupato, come Conte, dalle possibili conseguenze impreviste: “Se aprissimo il tavolo sul rimpasto, il Movimento rischierebbe di implodere“, riflette il Premier. Ed è facile notare, passando rapidamente tra Deputati e Senatori, Ministri e sottosegretari grillini, che la situazione dei 5 Stelle è davvero potenzialmente esplosiva: regna l’insoddisfazione, nei meandri del Movimento, nei confronti del sottosegretario a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro, così come del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e quella del Lavoro Nunzia Catalfo.
Fronte PD, invece, si ragiona su un possibile ingresso al Governo di Graziano Delrio, del capogruppo al Senato Andrea Marcucci e del vicesegretario Andrea Orlando, pronto a sbarcare al Viminale qualora l’attuale responsabile dell’Interno Luciana Lamorgese finisse per avere, come probabile, la tanto chiacchierata delega ai Servizi.
Un puzzle, un gioco di incastri e di incarichi per nuovi e vecchi compagni di viaggio con cui Giuseppe Conte – per la terza volta – spera di avviare un percorso che gli permetta di arrivare in sella fino alla fine della Legislatura.
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