La Maggioranza assoluta al Senato è ormai una chimera per Giuseppe Conte, alle prese con la strategia da adottare nei prossimi giorni per rimanere alla guida di un Governo che appare sempre più debole.
I numeri del Senato non sono certi, ma il Premier Giuseppe Conte è sicuro di una cosa: il suo “patto” con i partiti di Maggioranza terrà, e se la strada che porta alla sua conferma a Palazzo Chigi fosse impossibile da percorrere, ecco che le forze di Governo sarebbero unite nel mandare il Paese al voto. “Nessun accordo con Renzi“, è il motto che deve consolidare questa unità d’intenti su cui il Presidente del Consiglio fa affidamento nel giorno più difficile: quello in cui si consuma, probabilmente, la rottura delle trattative con Clemente Mastella e si registra il passo indietro dell’Udc, rientrato nei ranghi del Centrodestra.
E allora, alla luce delle ultime novità, da Palazzo Chigi filtra la nuova strategia: il Governo andrà avanti, perché la pandemia infuria e l’Italia ha bisogno di una guida, anche senza la Maggioranza assoluta al Senato. Il fatto è che senza i voti dei centristi di Lorenzo Cesa, che ha respinto i “giochi di Palazzo“, la situazione si è complicata: il supporto dei senatori “bianchi” era dato quasi per scontato dal Premier, che ora si trova a dover fare conti che non tornano mai. Il loro simbolo, poi – quello dell’Udc – avrebbe rappresentato per il Presidente del Consiglio una grande conquista: membro del Ppe, il partito centrista sarebbe stato l’amo perfetto per imbarcare in Maggioranza eventuali transfughi di Forza Italia.
La strada in salita. Anche perché, come ammetteva venerdì sera lo stesso Conte, oltre ai passi indietro dei “costruttori” c’è da registrare la rigidità di parte del Movimento 5 Stelle, aperto all’ingresso di nuovi Senatori in Maggioranza ma non disposto a concedere loro ruoli di rilievo nell’Esecutivo. Il cambio di strategia, quindi, è indispensabile. Rinunciare alle comunicazioni e limitarsi a una informativa in Aula, così da evitare la conta in Senato, salendo al Colle con le dimissioni per puntare al Conte ter? Una strada stretta e piena di potenziali trappole.
Dal PD, in particolare dal Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, arriva a Conte un’indicazione chiara: portare la crisi in Parlamento, spiegare che la situazione dipende dai capricci di Matteo Renzi e chiamare Deputati e Sentori ad una assunzione di responsabilità che metta davanti a tutto il bene dell’Italia, nel momento in cui ci sono in ballo tanti soldi: quelli del Recovery, certo, ma anche quelli dello scostamento di bilancio che dovrà finanziare il prossimo Decreto Ristori.
“Se prendo la fiducia anche con qualche voto in meno dei 161, il governo continua il suo viaggio. Ma sarà un governo debole“, ammette Conte, nella cui testa risuonano anche i moniti del Capo dello Stato, che sulla stabilità dell’Esecutivo ha insistito con forza.
E se l’Aula dovesse portare ad una bocciatura, l’accordo con PD e 5 Stelle porterebbe al voto, escludendo Governi tecnici o di larghe intese, con Conte che ragiona così: “Se non prendo la fiducia il governo cadrà in Parlamento, davanti agli occhi degli italiani. E se a giugno si vota, la vittoria della destra è tutt’altro che scontata. Girerò l’Italia città per città, paesino per paesino…“. Questi i pensieri del Presidente del Consiglio, il cui progetto per la creazione della lista “Insieme” procede spedito.