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Casi

Non ci furono minacce serie contro Silvia Romano, dice il magistrato, solo insulti

Silvia Romano, bersaglio di molti insulti sui social network, ha scelto di non sporgere denuncia. La sua decisione potrebbe valere l’archiviazione del caso.

Getty Images/Fabio Frustaci

Silvia Romano non ha intenzione di sporgere denuncia per gli insulti, le minacce e le considerazioni ben poco piacevoli ricevute sui social network. E la sua decisione potrebbe alleggerire il lavoro della Procura di Milano che pure aveva già iniziato le indagini per individuare e punire i responsabili delle peggiori ingiurie ricevute dalla giovane, sequestrata nel 2018 e liberata l’anno successivo dalla sua prigionia in mano ai terroristi di matrice islamica. La liberazione di Silvia Romano – avvenuta ufficialmente il 9 maggio – è stata accolta positivamente da alcune persone ma molte altre hanno riempito di insulti i social network, tempestando con commenti offensivi e perfino vere e proprie minacce l’attivista, soprattutto per la sua conversione all’Islam.

La Procura di Milano aveva iniziato una collaborazione con la piattaforma social Facebook per risalire all’identità di 10 persone che con altrettanti account fake – invece che con i propri profili reali – avevano minacciato pesantemente Silvia. Tanti i punti del caso che hanno attirato insulti e minacce: prima tra tutte, la sua conversione all’Islam – che secondo alcuni teologi potrebbe essere stata semplicemente un modo per trovare una speranza in una situazione spaventosa o salvarsi la vita – ma anche il pagamento di un riscatto da parte del Governo per riportare a casa l’attivista, una questione mai del tutto chiarita: da parte sua, il Governo ha sempre smentito ma fonti Keynote hanno parlato chiaramente di una somma sborsata dal paese, finita nelle tasche dei terroristi. Ma a Silvia insulti e minacce sui social non interessano: la ragazza ha evitato di sporgere denuncia ed ora la Procura di Milano chiede l’archiviazione, aggiungendo che le minacce ricevute dalla ragazza non sono credibili: “Sono insulti, non minacce”, ha decretato chi ha seguito il caso ritenendo che le minacce non siano concrete. Adesso, la palla passa al giudice che segue il caso: sarà lui a decidere se convalidare questa decisione e lasciar cadere il caso o se chi ha insultato e minacciato su Facebook – spesso nascondendo anche la sua faccia e la sua identità – dovrà pagare legalmente.

Pubblicato da
Manfredi Falcetta

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