Il lockdown non ha portato solo crisi economica: crescono anche le crisi coniugali. Boom di separazioni in questi mesi e non mancano le liti che sfociano in tragedia.
Il lockdown ha avuto – e continua ad avere – pesanti ripercussioni non solo in termini economici. Non solo ristoratori o commercianti costretti a chiudere, non solo un esercito di nuovi poveri in fila alla Caritas per cibo e acqua. Sono aumentati i fenomeni di depressione, abuso di alcool o sostanze stupefacenti. Si sono registrati numerosi suicidi nel giro di pochi mesi. Ma tra gli effetti collaterali del lockdown in Italia c’è stato anche un notevole incremento delle richieste di separazione: ben il 60% in più rispetto alla media degli anni passati. A dirlo è l’Associazione nazionale divorzisti, sulla base dei dati raccolti dal centro studi nazionale sul diritto di famiglia. Intervistando un campione di legali che si occupano di separazioni, è emerso che la convivenza forzata ha atto scoppiare molte coppie. E, di fatto, nel 2020 il lavoro dei divorzisti è più che raddoppiato. Il presidente dell’Associazione, Matteo Fantini, ha spiegato “Non si era mai verificata una situazione simile. In nessun periodo storico le persone sono state costrette a vivere dentro casa per mesi e mesi con convivenze forzate. Alla fine litigano e vengono fuori tutte le fobie e le frustrazioni, è una bomba ad orologeria”. La maggior parte delle richieste di separazione riguarda il Nord Italia, più colpito dalla pandemia di Covid anche sotto il profilo economico.
Diversi i fattori che hanno contribuito a far saltare anche il più solido dei matrimoni. In primo luogo, convivendo 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 sono venuti a galla eventuali tradimenti, risentimenti e incopatibilità negate o mal sopportate a lungo. Ha costituito un problema non da poco anche la didattica a distanza: avere i figli sempre a casa ha contribuito ad esacerbare le tensioni delle coppie. A ciò si devono aggiungere i problemi economici, l’aver perso il lavoro o la perenne paura di poterlo perdere da un momento all’altro. E, secondo le previsioni dei legali, il trend continuerà ad aumentare perché si continueranno a pagare gli effetti di queste convivenze forzate.
E le crisi talvolta possono sfociare anche in gesti estremi come accaduto a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, dove un uomo di 88 anni ha strangolato nel sonno la consorte di 90 anni in seguito all’ennesimo litigio. La donna, da tempo, era stata colpita dall’Alzheimer che le aveva fatto perdere progressivamente la memoria e l’ autonomia e, pertanto, dipendeva quasi completamente dal marito. L’uomo, forse esasperato dalla situazione resa ancora più insopportabile dalla “clausura” imposta dal lockdown, è esploso e ha tolto la vita alla compagna di una vita. I soccorsi del 118 hanno fatto di tutto per rianimare l’anziana ma non c’è stato nulla da fare mentre il marito è stato condotto in caserma per essere ascoltato.
Ma anche le coppie che restano insieme non procreano più. A dirlo Alessandra De Rose, professoressa di demografia alla Sapienza e componente del gruppo di esperti sul tema “demografia e
covid-19”. Nei primi otto mesi del 2020 si è registrata una riduzione di oltre sei mila e quattrocento nati rispetto allo stesso periodo del 2019. La principale ragione che non induce le coppie – soprattutto giovani – a fare figli è l’incertezza economica che si accompagna alla paura per il futuro. Tuttavia non giova neppure il timore di contagiarsi o contagiare il partner durante i rapporti sessuali o il timore di mettere al mondo un bambino in piena pandemia esponendolo, fin da subito, al rischio del virus. E così – ha spiegato l’esperta – molte coppie hanno deciso di rinviare il loro progetto riproduttivo, sia per l’incertezza economica e lavorativa sia per il timore che la crisi sanitaria non finirà presto. Il rischio è che nel 2021 le nascite precipitino sotto quota 400mila.