Si riapre la partita sul caso di Yara Gambirasio, la tredicenne uccisa nel 2010. La Cassazione ha accolto le richieste dei legali di Massimo Bossetti.
Colpo di scena nel caso Yara Gambirasio: la Cassazione ha accolto il ricorso dei legali di Massimo Bossetti sull’accesso ai reperti. Annullate con rinvio le ordinanze della Corte d’assise di Bergamo che avevano respinto – in qunto ritenute inammissibili – le richieste della Difesa. Il manovale di Mapello era stato condannato all’ergastolo il 12 ottobre 2018 per l’omicidio della tredicenne che scomparve da Brembate Sopra – Bergamo – il 26 novembre 2010. Il corpo privo di vita di Yara fu rinvenuto in un campo di Chignolo d’Isola a tre mesi dalla sua scomparsa. Fino ad oggi ben pochi sono stati i dubbi sull’autore del delitto. Ma ora la partita si riapre e Massimo Bossetti si è detto convinto che la giustizia gli darà ragione e verrà dimostrata la sua innocenza.
La vicenda, fino ad oggi, è andata avanti in un tortuoso percorso ad ostacoli. Nel dicembre 2017 l’avvocato della Difesa Claudio Salvagni aveva annunciato il ricorso in Cassazione contestando la sentenza di colpevolezza in secondo grado la quale – a suo dire – si basava su motivazioni inconsistenti: l’assenza di rapporti sessuali tra i coniugi Bossetti. Ragione che, secondo i giudici, poteva aver spinto il muratore bergamasco a commettere un omicidio di quel tipo portandolo ad addescare una bambina di 13 anni. “Nessuno era lì nel letto con loro” -argomentava all’epoca Salvagni che insisteva sull’importanza di poter scagionare il suo assistito tramite la prova del Dna.
Il 27 novembre 2019 il giudice Giovanni Petillo aveva accolto la richiesta degli avvocati di Bossetti di esaminare i reperti. Tuttavia, il medesimo Petillo solo cinque giorni dopo – il 2 dicembre – specificò che non si trattava di un esame dei reperti ma di una semplice ricognizione alla presenza della Polizia giudiziaria e che, pertanto, nulla poteva essere toccato. A maggio 2020 una seconda richiesta da parte della Difesa dichiarata inammissibile ancora una volta dal giudice Petillo. Nel frattempo, a gennaio 2020, i reperti erano stati confiscati e, dunque, non potevano più essere agli atti del processo in quanto di proprietà dello Stato. Ma ora, con l’accoglimento da parte della Cassazione delle richieste della Diesa, si torna ancora una volta a Bergamo dove la vita di Yara è stata interrotta. Altri giudici saranno chiamati a stabilire se i legali di Massimo Bossetti possano visionare i campioni di Dna e gli abiti della ragazzina.
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