Centinaia di sostenitori del Presidente uscente Donald Trump hanno assaltato il Congresso degli Stati Uniti, facendo irruzione per cercare di impedire che venisse certificata la vittoria del candidato democratico Joe Biden. E ora il tycoon potrebbe essere destituito.
Un colpo al cuore di quella che definiamo la più grande democrazia al mondo. Gli Stati Uniti sono sotto choc, al termine di una giornata segnata dall’assalto portato dai sostenitori del Presidente uscente Donald Trump al Congresso. Il bilancio è di quattro morti e una sessantina di fermati, dopo che la Polizia è intervenuta quando ormai erano già centinaia i manifestanti che, in molti casi armati, avevano fatto irruzione nella sede del potere legislativo statunitense.
Immagini che hanno fatto il giro del mondo, causando la reazione di quasi tutti i leader occidentali. Anche il Premier italiano Giuseppe Conte ha espresso la propria preoccupazione per quanto avvenuto a Washington. Attraverso un tweet dal proprio account, il Presidente del Consiglio ha affermato che “La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche. Confido nella solidità e nella forza delle Istituzioni degli Stati Uniti“.
Le proteste erano per la verità ampiamente previste, visto che Trump ripeteva da mesi – anche da prima del voto del 3 novembre – che non avrebbe accettato un risultato favorevole al suo sfidante, Joe Biden. E così ieri, nel giorno in cui il Congresso si riuniva per certificare la vittoria del candidato democratico, il Presidente uscente aveva incendiato le folle, tornando a ripetere, in un comizio tenuto a Washington, “Non concederemo mai la vittoria, non ci arrenderemo mai“. Parole tradotte in fatti non dai rappresentanti repubblicani in Congresso, che non hanno potuto far altro che formalizzare l’esito del voto, ma dai sostenitori di Trump che – convinti dal leader di un complotto e di una truffa elettorale ai loro danni – hanno cinto d’assedio il Campidoglio.
Le conseguenze di una giornata storica come quella di ieri sono ancora tutte da scrivere. Dalla Casa Bianca trapelano indiscrezioni clamorose: diversi Ministri del Governo Trump starebbero infatti prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di ricorrere al 25° emendamento, che comporta la rimozione del Presidente in carica – perché ritenuto “non in grado di adempiere ai suoi doveri” – e l’affidamento del mandato al suo vice, in questo caso Mike Pence. La procedura è complessa: per mettere in atto una misura estrema come questa, infatti, occorre – oltre al consenso dello stesso Pence – l’approvazione di almeno due terzi dei componenti di entrambe le Camere. Lo stesso Trump, però, avrebbe comunque la possibilità di opporsi al provvedimento, complicando ulteriormente il processo di una sua eventuale rimozione. Ma già il fatto che, a due settimane dalla scadenza del suo mandato – la cui conclusione è prevista per le ore 12 del 20 gennaio – i ragionamenti sul ricorso al 25° emendamento si siano fatti tanto concreti evidenzia quanto la situazione sia senza precedenti e, secondo molti dei protagonisti, potenzialmente esplosiva.
Anche perché, mentre Mike Pence, nel pomeriggio, condannava con decisione e senza mezzi termini le violenze dei manifestanti repubblicani, il videomessaggio che Trump ha diffuso per chiedere ai suoi sostenitori di “tornare a casa” è stato invece all’insegna di un doppio registro che non promette niente di buono: il tycoon, mentre chiedeva ai suoi di interrompere le violenze per salvaguardare la pace e scongiurare che qualcuno potesse farsi male, ribadiva che la vittoria elettorale gli è stata “rubata” e definiva il risultato come frutto di una clamorosa frode; e se, da una parte, Trump chiedeva ai suoi di rispettare le forze di Polizia schierate a difesa del Congresso, dall’altra evitava di menzionare il rispetto dovuto nei confronti dell’istituzione stessa.
Altri membri dell’Amministrazione, intanto, stanno valutando la possibilità di dimettersi. Ci stanno pensando il Consigliere per la Sicurezza, Robert O’Brien, e il suo vice Matt Pottinger, figura fondamentale nella gestione dei rapporti con la Cina. Ma dietro a questi due nomi sarebbe in preparazione una fuga di massa, messa in atto da membri magari meno in vista ma comunque importanti della macchina amministrativa statunitense.
La stessa cosa sta accadendo dal punto di vista parlamentare: la falange di eletti repubblicani che aveva annunciato di appoggiare il tentativo di Trump di delegittimare l’elezione di Joe Biden contestando il risultato del voto in Arizona – inizialmente composta da una quindicina di rappresentanti – si è ridotta a 6 Senatori. Dopo l’interruzione forzata, il Congresso è tornato a riunirsi e sta ora esaminando e contando i certificati dei voti del collegio elettorale, Stato per Stato: un processo al termine del quale verrà – salvo nuove clamorose irruzioni – confermata l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca.
Ma le polemiche sono destinate a crescere: nella notte le strade della Capitale sono apparse deserte, presidiate da un grande spiegamento di agenti, con oltre 1500 uomini della Guardia Nazionale a vigilare sulla ritrovata tranquillità. Muriel Bowser, sindaco di Washington, ha imposto il coprifuoco a partire dalle 18 e la città appare a tutti gli effetti sotto assedio. Ma la reazione delle forze di sicurezza è stata tardiva: le manifestazioni pro-Trump erano ampiamente attese, eppure il Congresso ieri era difeso soltanto da una fila di transenne e da una sparuta rappresentanza di agenti di sicurezza. Solo nelle ore successive all’irruzione si è venuto a sapere che, informato di quanto stava accadendo, il Presidente uscente non ha ritenuto necessario prendere alcuna iniziativa per difendere il Congresso: i rinforzi sono infatti arrivati su iniziativa del Pentagono, dopo che il vicepresidente Mike Pence aveva dato il proprio via libera.
Seguo con grande preoccupazione quanto sta accadendo a #Washington. La violenza è incompatibile con l’esercizio dei diritti politici e delle libertà democratiche. Confido nella solidità e nella forza delle Istituzioni degli Stati Uniti. #CapitolHill
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) January 6, 2021