Dopo una giornata di liti e polemiche all’interno della Maggioranza – e tra Governo e Regioni – arriva l’ennesima giravolta dell’Esecutivo sulla riapertura delle scuole, che slitta da giovedì 7 a lunedì 11 gennaio. Almeno per ora.
Le scuole superiori non riapriranno, come inizialmente previsto, il 7 gennaio. Il ritorno sui banchi – pur se limitato al 50% degli studenti – slitta, al termine di una giornata carica di tensioni e liti all’interno della Maggioranza, a lunedì 11. Alla fine l’accordo è stato trovato sulla base di un rinvio, che farà coincidere il ritorno in classe con la valutazione da parte della cabina di regia sulla fascia di rischio in cui le diverse Regioni saranno inserite, proprio a partire dalla prossima settimana: soltanto gli studenti delle eventuali zone rosse saranno costretti a continuare a seguire le lezioni attraverso la didattica a distanza, ma attualmente nessun territorio sembra avviato verso una classificazione di quel tipo.
La questione-riaperture era stata posta in modo critico da più parte negli ultimi giorni: nota la contrarietà di presidi e docenti, cui si erano accodate anche alcune amministrazioni Regionali – prima Lazio e Puglia, poi via via quasi tutte le altre – che avevano annunciato lo slittamento della riapertura, lo scontro è arrivato all’interno della Maggioranza su iniziativa del Partito Democratico, con il capodelegazione Dario Franceschini che aveva chiesto al Premier Giuseppe Conte un rinvio del ritorno sui banchi almeno fino al 15 gennaio, anche alla luce della nuova crescita fatta registrare dai dati sul contagio nel nostro Paese. Sul fronte del ritorno in classe, invece, oltre alla Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, le due rappresentanti di Italia Viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, che avevano definito “inaccettabile” l’ipotesi di uno slittamento. Un’opzione ripetutamente esclusa dallo stesso Conte, che ancora durante la conferenza stampa di fine anno, lo scorso 30 dicembre, aveva ripetuto come non vi fosse altra strada che il ritorno in classe a partire dal 7 gennaio, come stabilito ormai da tempo.
Anche Azzolina, intervistata ieri da Il Fatto Quotidiano, ribadiva che la volontà del Governo fosse quella di confermare la riapertura per il giorno successivo all’Epifania: “Avremmo voluto farlo a dicembre, ma abbiamo rimandato su richiesta delle Regioni”, diceva la responsabile dell’Istruzione. “Poi avremmo voluto ritornare al 75%, ma abbiamo accolto il suggerimento del 50%“, spiegava ancora Azzolina, sottolineando come – nonostante la disponibilità a confrontarsi e a venire incontro alle richieste degli enti locali – l’Esecutivo non avesse ormai il minimo dubbio sul ritorno sui banchi: “E ‘arrivato il tempo di tornare in classe“, assicurava, escludendo ancora una volta che si potesse arrivare ad un rinvio: “Ogni volta che sta per arrivare la scadenza stabilita, c’è qualcuno che lancia la palla più lontano, senza ragionevoli motivazioni“. Nel corso dell’intervista, Azzolina si diceva tra l’altro convinta del fatto che, con le scuole chiuse, “gli studenti non stanno a casa h24: tanto vale che stiano a scuola, un luogo protetto e con regole da rispettare“.
Ma la riapertura di giovedì, dopo le iniziative prese dalle Regioni per posticipare il ritorno in classe degli studenti delle scuole superiori, era ormai impraticabile e l’intervista del Ministro già superata dai fatti: il Governo si sarebbe sostanzialmente trovato solo – contro enti locali e dirigenti scolastici – e per di più spaccato. E’ a questo punto che nel dibattito si è inserita l’idea del Ministro della Salute Roberto Speranza, sostenuto dal responsabile degli Affari Regionali Francesco Boccia: un mini-rinvio, fino a lunedì, così da far coincidere il ritorno alla didattica in presenza con l’entrata in vigore delle nuove soglie per le classificazioni di rischio delle Regioni.
Si tratta però soltanto di una tregua, più che di un intervento risolutivo. Il problema è rinviato solo di qualche giorno: dalla prossima settimana bisognerà vedere quanti Governatori si adegueranno alle decisioni dell’Esecutivo e quanti invece decideranno di confermare le ordinanze che prevedono chiusure prolungate, in alcuni casi, fino a febbraio.
Lo scontro è ormai esteso a tutti i livelli: e se docenti e dirigenti contestano i Presidenti di Regione, accusandoli di non aver in alcun modo recepito le loro richieste, i Governatori fanno sostanzialmente lo stesso con il Governo, in un gioco di attacchi reciproci che dimentica, pare, il punto centrale della questione: la scuola è una cosa seria e meriterebbe di essere trattata in altro modo. Con chiarezza, con decisioni ragionate e sensate, che non inseguano spot o esigenze politiche. Fino a ieri sera, a poco più di 48 ore dal rientro in classe, decine di migliaia di famiglie non sapevano cosa sarebbe successo giovedì mattina: così, non può andare.