E’ questione di giorni se non di ore: il Governo Conte è prossimo ad andare gambe all’aria, nonostante il gioco di rimessa che il Premier ha tentato nelle ultime settimane. Il percorso era già segnato sebbene lui abbia tentato, senza troppa scaltrezza politica, di rimandare la fine.
Il premier è ad una svolta, e non è detto che sia una cattiva notizia. Il fatto, ormai più concreto di quanto non apparisse solo dieci giorni fa, è che Matteo Renzi ha deciso la fine dell’Esecutivo, almeno per come lo conosciamo finora, con il ritiro dei ministri di Italia Viva dalla compagine di Governo. Una decisione che, in termini politici e subito dopo formalmente, apre la crisi. La Legge di Bilancio è alle spalle e ogni giorno potrebbe essere quello decisivo. Le ragioni sono molteplici, da parte del senatore ed ex premier, ed alcune certo legate a ragioni di opportunità politica, parente stretta dell’opportunismo di cui l’uomo di Firenze è una rappresentazione poco meno che perfetta. Ma, per quanto si vogliano intuire pretestuose le ragioni addotte per prendere a spallate il premier, si può dire che Renzi ha saputo nascondere i pretesti dietro argomenti ben fondati e non meno abilmente rappresentati. E’ apparso tanto dinamico, attento e cattivo, politicamente, quanto il premier è risultato stanco, privo di slanci e drammaticamente sprovvisto di exit strategy. Le critiche mosse da Renzi alla gestione operativa del Recovery Fund, il finanziamento europeo con cui l’Italia si gioca buona parte degli anni a venire, la sua insistenza affinché l’esecutivo accetti il sostegno del Fondo salva Stati e le obiezioni alla decisione del premier di tenere per sè il controllo diretto dei Servizi Segreti, non hanno ottenuto da parte di Conte risposte, politicamente, all’altezza.
Renzi si è mosso a carte coperte ma non al buio, sebbene qualcuno voglia far passare l’iniziativa del senatore come l’anticamera di una crisi senza sbocchi. E’ troppo avveduto, il senatore, e si è spinto troppo avanti per non lasciar credere che abbia già da tempo creato le condizioni per un’alternativa. Certamente il senatore non è solo perchè non è il solo ad averne abbastanza di Conte. Il premier ha commesso ingenuità colossali, sebbene poco appariscenti rispetto ai clamorosi passi falsi di un Matteo Salvini che dava una spallata al Movimento Cinque Stelle senza aver pianificato un percorso alternativo. Salvini credeva di avere in mano la mappa per andare alle urne e in pochi giorni si è ritrovato nelle ortiche. E arrivò Conte, di nuovo, e sembrò improvvisamente un’altra persona. Sempre elegante ma scaltro e velenoso, al punto da essere incapace di dissimulare il proprio rancore nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno di fronte al quale, per un anno, aveva chinato il capo per ragioni di opportunità o di mero opportunismo, si direbbe. E in questo Conte non è dissimile da Renzi e dagli altri. Ma Renzi si sta dimostrando più scaltro di Conte, che pur era sembrato più abile e opportunista dell’ex ministro Salvini.
Per capacità politica Conte non regge il confronto con Renzi, piaccia o meno. E se Renzi ha commesso i suoi errori di calcolo – il referendum costituzionale su tutti, una spigliatezza comunicativa che spesso è diventata arroganza – Conte in pochi mesi ha commesso ingenuità ben più patenti e rovinose, perchè nel mondo della politica è l’ultimo arrivato, sebbene giunto per caso sullo scranno più alto. Questo lo ha reso, paradossalmente, fragile: perchè senza una realtà alle spalle – il Movimento, in lenta implosione, non basta per garantire a Conte la sopravvivenza – ogni errore poteva essergli fatale se prima non fosse stato in grado di costruire una propria realtà come il manipolo di sodali – esperti e sufficientemente fedeli – che accompagna Renzi nelle proprie scorribande politiche. Ed è questo il punto. Conte è un uomo solo che, trovandosi alla guida del Paese in un momento drammatico, ha pensato che i consensi si potessero tramutare in opportunità politica e indipendenza, da un momento all’altro. Ha quindi cercato di focalizzare la propria figura in quella prospettiva e in maniera ingenua ed improvvida, quasi grossolana e provinciale, a dispetto della controllata eleganza di cui si compiace. Un passo ben rappresentativo in tal senso sono stati gli “Stati Generali” a giugno, l’incontro tra il Governo, Confindustria, Confcommercio, sindacati e “menti brillanti” per definire una strategia d’intervento nel rilancio del Paese. Si sono rivelati iniziativa velleitaria e inopportuna in un Paese ancora frastornato ed incerto dopo la prima ondata della pandemia. E’ sembrato che l’obiettivo vero del premier fosse salire un gradino sopra lo scranno dove aveva avuto la fortuna di capitare per costruire un’immagine di sè utile per i tempi a venire. Qualcuno ha capito e preso nota.
A questa ingenuità è seguita un’altra, quella della task force pensata per la gestione del Recovery: anche qui, il senso ultimo era l’ideazione di una struttura che vedeva il premier come vertice. Un’impalcatura che è sembrata tesa a costruire un’immagine più che a concretizzare progetti per il Paese. Da qui, non a caso, Matteo Renzi ha sferrato il suo attacco, con molte buone ragioni.
Ed è qui che Conte ha mostrato limitatezza ed ingenuità politica. Perché se è vero che il PD non ha criticato platealmente il premier, lasciando fare il gioco sporco a Renzi, è ben evidente che tra Dem e senatore c’era un’intesa chiara e tenuta da un interesse comune: nessuno vuole offrire al premier tempo ed opportunità per costruire, da Palazzo Chigi, una propria realtà politica, soprattutto se questo progetto sta, con ogni probabilità, sottraendo energia all’azione di Governo a dispetto delle emergenze – la pandemia – e delle opportunità. La claudicante, incerta e approssimativa gestione del Paese dopo la prima ondata, il ritardo ed il dilettantismo con cui l’Esecutivo ha risposto all’opportunità rappresentata dal Recovery spiegano molto sul Conte degli ultimi mesi, sommessamente abbagliato dalla visione di sè nel prossimo futuro – certo aiutato in questo clamoroso errore di valutazione da Rocco Casalino – e spiegano il repentino tramonto delle sue fortune.
Non è escluso che l’avvocato pugliese possa strappare una qualche condizione di sopravvivenza e riuscire, a caro prezzo, a guidare un altro esecutivo, profondamente trasformato negli assetti e nelle priorità. Ma è certo che d’ora in avanti Giuseppe Conte non può più contare sull’effetto sorpresa nei confronti degli alleati politici e degli avversari, perché sono ormai diventati la stessa cosa. Ed il demerito, qui, è tutto suo.