La campagna vaccinale italiana procede a rilento, con meno dell’8% di dosi somministrate sul totale di quelle a disposizione del nostro Paese.
Arrivare, i vaccini sono arrivati. Le dosi che sbarcano nel nostro Paese sono quelle concordate, così come tutto rispecchia gli annunci per quel che riguarda il famoso hub di Pratica di Mare. Bene anche la distribuzione verso il 203 ospedali sul territorio, con i camion che dall’aeroporto militare non distante da Roma si muovono per raggiungere le varie destinazioni. I problemi sono iniziati qui: quando le fialette, arrivate nei luoghi di somministrazione, non hanno trovato il personale – tanto nelle Rsa, quanto negli ospedali – che avrebbe dovuto occuparsi della somministrazione. Un classico di fine anno, con il personale che non c’è, tanto da trasformare i giorni a cavallo tra il 2020 ed il 2021 in giornate di routine, nonostante dal tanto celebrato V-day del 27 dicembre siano passati 4 giorni e la corsa al vaccino dovrebbe imporre ritmi più serrati.
Il problema, quindi, non riguarda in questo momento i ritardi nell’approvazione di AstraZeneca, né l’acquisto bilaterale di dosi da parte della Germania e neanche l’allarme lanciato ieri da BioNTech – che ha fatto sapere di non essere in grado da sola con Pfizer di coprire l’intero fabbisogno di trattamenti, invocando una rapida approvazione anche per i vaccini di altre case farmaceutiche . Il problema è che, anche disponessimo di tutti i vaccini necessari, non siamo attualmente in grado di somministrarli alla popolazione : su un totale di poco meno di mezzo milione di dosi – 469.950 per la precisione – il dato della sera del 31 dicembre parlava di appena 35.850 vaccinati: il 7,6%.
Naturalmente si tratta di una media. Il che significa che in alcune realtà le cose vanno meglio che altrove. Il Friuli Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano, ad esempio, superano il 16% di vaccini consegnati e iniettati; poco dietro il Lazio, con qualche decimale in meno. Ma in altre Regioni – Calabria, Basilicata, Valle d’Aosta, Provincia di Trento, Molise – si viaggia intorno al 2%. La Sardegna si ferma addirittura all’1,6%, mentre la Lombardia, la Regione simbolo dell’aggressività del Coronavirus in Italia, non si va oltre il 2,6%. Per quanto riguarda la Sicilia, invece, impressiona l’enorme differenza tra dosi disponibili e vaccinazioni effettuate: sull’isola, in questo momento, i vaccinatori abilitati sono solo 345, ne servirebbero 1300.
In tutto questo, il commissario per ogni emergenza Domenico Arcuri si dice soddisfatto, sottolineando che il 27 dicembre siano state consegnate 9.750 dosi del trattamento Pfizer “interamente somministrate“. Il punto, però, è che il 27 dicembre – il V-day – ha evidentemente rappresentato un unicum. L’eccezione. La regola, almeno nei giorni successivi fino ad oggi, è stata completamente diversa dall’efficientissima passerella messa in scena nel primo giorno di vaccinazioni in favore di telecamera.
“È davvero presto per dire che la partenza sia stata lenta. Certo, colpisce che in Germania siano state iniettate 165 mila dosi e in Israele un milione di persone siano state già immunizzate, ma è pure vero che la campagna vaccinale è iniziata da due giorni“, prova a tranquillizzare il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. Ma sono parole che non possono bastare, nonostante in Europa ci sia chi – Francia e Grecia, ad esempio – riesce a fare peggio di noi. “Io stesso ho rimproverato una responsabile del Pio Albergo Trivulzio di Milano quando ha spiegato che le 1.500 dosi arrivate alla struttura il giovedì sarebbero state utilizzate solo il lunedì successivo“, dice ancora il viceministro, convinto che “i trentaseimila vaccinati” siano “sottostimati” e che non tutti i dati sulle somministrazioni effettuate siano stati correttamente e tempestivamente inseriti nel sistema. Spiega di essere disposto a dare tempo alle strutture sul territorio fino al 6 gennaio per iniettare tutte le 469.950 dosi disponibili, Sileri. Solo allora, eventualmente, “griderò allo scandalo“, spiega il viceministro. La certezza, intanto, è che sono molte le strutture che invece di optare per turni più serrati, hanno scelto una strategia più “conservativa“.
E se da una parte è certo che, essendo le varie consegne previste su base settimanale, arrivare a completamento delle somministrazioni entro due o tre giorni non è cosa particolarmente utile, dall’altra l’affanno con cui la campagna procede è evidente e – soprattutto – non lascia ben sperare in vista di una futura – e auspicata – crescita nella disponibilità di dosi, una volta che altre case farmaceutiche avranno ottenuto il via libera dall’Ema.