Mentre nel Governo aumentano i sostenitori della linea del rigore, che spingono per chiusure rigide da applicare durante le feste di Natale, il Premier Giuseppe Conte frena e mostra preoccupazione per le conseguenze economiche: “Non abbiamo tutti i soldi della Germania”, spiega.
Il fronte rigorista della Maggioranza si allarga: se prima, schierati sulla linea del rigore stazionavano il Ministro della Salute Roberto Speranza e quelli dei Beni Culturali e degli Affari Regionali Dario Franceschini e Francesco Boccia, ora la frangia di sostenitori della severità si è estesa a gran parte dell’area di Governo, lasciando quasi al solo Premier Giuseppe Conte – sostenuto in un inedito asse da Italia Viva – il ruolo di lavorare per stabilire misure meno rigide: dal Pd a Leu, passando per il Movimento 5 Stelle, l’idea di affrontare le feste con restrizioni severe sta convincendo un po’ tutti. Ma c’è di più: per la prima volta, forse, la stessa linea è sposata anche da gran parte dei Presidenti di Regione e non è apertamente osteggiata dalle Opposizioni, che si dicono pronte a sostenerla a patto che le misure adottate siano chiare e che i ristori siano tempestivi.
Eppure Conte frena, media, propone chiusure meno drastiche. Da una parte, a motivare l’azione del Premier, c’è sicuramente la volontà di non disattendere del tutto le promesse di un “Natale sereno” fatte nei mesi scorsi. Ma, ormai sembra chiaro a tutti, il punto centrale riguarda proprio i ristori: i soldi, almeno per quest’anno, sono finiti. L’Italia, dopo una serie di scostamenti di bilancio serviti per finanziare i quattro decreti ristori varati nel giro di poco più di un mese, è costretta a rimandare qualsiasi ulteriore intervento all’anno nuovo – per evitare che si aggiunga un’ulteriore zavorra al già pesante bilancio 2020 – e Conte sa che se a fronte delle nuove chiusure non arriveranno, molto rapidamente, dei sostegni da parte dello Stato, la situazione potrebbe diventare ingestibile.
Non a caso ancora ieri sera, ospite di Accordi e Disaccordi, il Premier ripeteva che noi “non siamo la Germania” e che “non abbiamo tutti i suoi soldi da mettere sul tavolo“. I nodi da sciogliere, quindi, rimangono numerosi. Perché se il Comitato tecnico scientifico ed il Ministero della Salute non hanno il minimo dubbio e continuano ad insistere sulla necessità di chiudere il più possibile e di impedire gli spostamenti – soprattutto per chi, lavorando lontano da casa, voglia fare ritorno alla propria città d’origine – dalle parti del Viminale la posizione è abbastanza diversa: il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ieri, sottolineava come impedire a migliaia di persone di raggiungere i propri cari potrebbe innescare disordini sociali oltre che, più banalmente, gravi ripercussioni sul traffico: una decisione di chiusura presa all’ultimo minuto, infatti, comporterebbe quasi certamente una corsa al rientro prima delle scadenze, congestionando le grandi città.
Grande preoccupazione, poi, filtra dal mondo del commercio. Ieri il Premier, a causa del protrarsi del vertice con i Ministri, ha addirittura disertato l’appuntamento in agenda con Confesercenti, cancellando il proprio intervento – previsto ad inizio pomeriggio – all’assemblea nazionale. Non un bel segnale per chi – già preoccupato da una possibile nuova serrata, imposta per di più nei giorni degli acquisti natalizi – sperava che la presenza di Conte permettesse di avere risposte più chiare. Dal canto suo, la presidente dell’associazione di categoria Patrizia De Luise ha voluto inviare un messaggio molto chiaro al Governo: un lockdown tra Natale, Capodanno ed Epifania, con la chiusura imposta a negozi ed esercizi pubblici comporterebbe, secondo De Luise, “un’ulteriore perdita di 10 miliardi di euro, di cui 3 miliardi circa di consumi in bar, ristoranti ed altre attività di somministrazione e 7 miliardi in acquisti di beni e prodotti“. Un’emorragia che – alla luce di una situazione già drammatica – sarebbe decisamente meglio evitare. Non più incoraggianti i dati presentati dall’associazione delle catene del commercio moderno Confimprese, che segnala un calo del 64,9% dei consumi nel mese di novembre rispetto all’anno precedente.
A peggiorare le cose è l’incertezza che sembra regnare su qualsiasi scelta del Governo. “Non si capisce come una settimana fa ci abbiano fatto aprire ed ora vogliano farci chiudere”, si dispera il direttore della Federazione pubblici esercizi di Confcommercio, Roberto Calugi. Un comportamento che dimostra come non ci sia la minima comprensione delle necessità delle varie attività, “che sono imprese e non giocattoli che si possono aprire e chiudere a piacere. Siamo di fronte ad una sottovalutazione gravissima“, conclude Calugi.
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