Il Governo ha stanziato 250 milioni per la mobilità sostenibile ma nel Paese cresce il numero dei nuovi poveri che non riescono più nemmeno a fare la spesa.
Il futuro è green, ce lo sentiamo ripetere ormai da tempo. E il Covid ha forse dato il “là” alla possibilità di passare dalle parole ai fatti. Al fine di evitare assembramenti, infatti, sempre più persone hanno iniziato a prediligere la bicicletta o il monopattino ai tram, agli autobus o alla metropolitana. La prima tranche di bonus statali per la mobilità sostenibile ha visto ben 215 milioni di euro stanziati dal ministero per l’Ambiente. Cifra che si era esaurita in poco più di ventiquattr’ore con oltre 300mila rimborsi e 258mila voucher da utilizzare entro trenta giorni. Anche se poi, a conti fatti, soltanto 196mila euro sono stati effettivamente spesi e, quindi, 31,9 milioni rientrati nella disponibilità del ministero. Ora il Governo ha stanziato altre risorse – di poco superiori ai 215milioni del mese scorso – per aiutare chi era rimasto escluso dalla prima “ondata” di bonus. Si conta di sovvenzionare oltre 600mila acquisti di biciclette e monopattini. A ieri sera le richieste inserite sulla piattaforma risultavano 118.027 per un importo totale pari a 35,5 milioni di euro.
Ma i bonus non finiscono qui. Infatti nella Legge di Bilancio il Governo ha già messo in conto 250 milioni di euro – 150 del vecchio fondo e 100 nuovi – per altri incentivi sempre inerenti la “mobilità green”. A partire dall’ 1 gennaio 2021 tornerà in vigore il bonus che originariamente era previsto soltanto per coloro che hanno residenza nei comuni più inquinati. Inoltre chi rottama entro il 31 dicembre 2021 autovetture omologate fino alla classe Euro 3 e motocicli fino all’Euro 2 e all’Euro 3 avrà a disposizione un bonus di 1.500 euro per auto e di 500 euro per moto che potranno essere spesi entro tre anni per abbonamenti al trasporto pubblico, biciclette anche a pedalata assistita e servizi di mobilità in sharing.
I nuovi poveri e la lotta per il cibo
Nessun bonus, purtroppo, invece per il cibo, per la spesa quotidiana. Forse perché siamo abituati a dare per scontato riuscire a comprare ciò che ci serve per poter mangiare almeno due volte ogni giorno. Per molti questo non è più così scontato. L’emergenza Covid si è presto trasformata anche in emergenza economica e le chiusure imposte hanno creato schiere di nuovi poveri che ora si possono vedere nelle lunghissime file fuori dalla Onlus per un piatto di minestra o un pezzo di pane. Milano è un esempio di come, a distanza di pochi metri, possono coesistere l’estremo lusso e l’estrema poverà. A poche centinaia di metri dall’Università Bocconi, si trova la Onlus Pane Quotidiano che può contare sulle donazioni di oltre 5mila milanesi e il supporto di oltre 150 aziende. I volontari spiegano che al sabato si arriva anche a consegnare 4000 pasti e che la fila di chi ha bisogno di cibo perché non riesce più ad acquistarlo, cresce di settimana in settimana. Quelli che stanno pagando il prezzo più alto sono i lavoratori in nero per cui non è previsto alcun bonus né alcuna forma di tutela. Il vicepresidente del Pane Quotidiano, Luigi Rossi, spiega: “La crescita delle difficoltà con l’emergenza sanitaria è impressionante. Soprattutto negli ultimi cinque-sei mesi in tanti hanno perso il lavoro”.
C’è chi, forse per la vergogna, preferisce non parlare mentre altri sentono il bisogno di sfogarsi, di raccontare la loro storia. Ad aspettare un pasto, del cibo – che spesso arrivano anche a raccongliere dal marciapiede o dalla strada – sono sia giovani sia adulti e anziani; tantissime le donne con bambini. Il signor Lamberto Zannoni è un pensionato di 80 anni che vive a Greco, dalla parte opposta di Milano ma la necessità lo spinge ad attraversare tutta la città: “La mia pensione è bassa e una volta pagato l’affitto ho problemi anche a comprare il cibo. Per fortuna risco ancora ad arrivare fino a qui”. Alberto, invece, è un ragazzo e racconta: “Lavoravo nel montaggio degli stand per le fiere ma con il Covid il settore è saltato e ho perso il lavoro. Per noi il lavoro che fanno qui è un sostegno indispensabile”. Infine la signora Sabina, che arriva da Lambrate, zona piuttosto distante da quella in cui si trova la Onlus, spiega di essere rimasta disoccupata all’età di 61 anni e di vivere con il figlio disoccupato: “A 68 anni non ho ancora una pensione: per me anche un euro fa la differenza”.