I nuovi Decreti Sicurezza voluti dal Governo sono in bilico. PD e M5s accusano la Presidente del Senato

La decisione della Presidente del Senato Elisabetta Casellati di assegnare l’esame del nuovo decreto Sicurezza non solo alla Commissione Affari Costituzionali ma anche a quella Giustizia – unica ancora a guida leghista – scatena le proteste della Maggioranza. E mette in dubbio la conversione in legge del nuovo testo.

La scelta di Casellati mette a rischio i Decreti Sicurezza
Elisabetta Casellati/Andreas Solaro, Getty Images

Non c’è pace per il Governo. Superata la prova del passaggio parlamentare sulla ratifica del Mes e in attesa di un chiarimento indispensabile con Italia Viva sulla governance del Recovery Fund – su questo Matteo Renzi ancora ieri sera prometteva battaglia – nuove nuvole si addensano nel cielo sopra l’Esecutivo. I guai questa volta potrebbero arrivare dalla conversione in legge dei rinnovati decreti Sicurezza. A poco più di 24 ore dall’approvazione del nuovo testo da parte della Camera – 279 voti a favore, 232 contrari e 9 astenuti – cominciano ad esserci preoccupazioni tra le file della Maggioranza sul fatto che anche al Senato, dove la votazione dovrà avvenire entro il 20 dicembre, le cose possano andare altrettanto bene.

Ad alimentare l’incertezza è arrivata la decisione della Presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati di far passare il provvedimento attraverso l’esame di due commissioni prima dell’approdo in aula, dove i tempi di valutazione saranno strettissimi. Non solo la commissione Affari Costituzionali, come previsto, ma anche Giustizia, l’unica ancora guidata dalla Lega, che ha già annunciato che farà tutto il possibile per ostacolare il via libera al testo. Già le manifestazioni di protesta messe in scena a durante la votazione di mercoledì a Montecitorio – con i Deputati leghisti che hanno esposto uno striscione contro “il decreto clandestini” – hanno lasciato intendere che il partito di Matteo Salvini non intende fare sconti su un tema particolarmente caldo dalle parti di via Bellerio.

A presiedere la Commissione Giustizia, come detto, è rimasto un esponente della Lega, Andrea Ostellari, perché in estate, durante il rinnovo delle presidenze delle commissioni, il candidato del Governo – l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso – è stato misteriosamente fatto fuori, vittima del voto segreto e di qualche dissidio interno alla coalizione giallo-rossa.

Dalla Maggioranza, intanto, piovono proteste: quella della Presidente del Senato sarebbe una decisione “incomprensibile e sconcertante” secondo il presidente democratico della commissione Affari Costituzionali Dario Parrini. Ma è tutto il PD a non capacitarsi della scelta, visto che delle 25 pagine del testo, fanno sapere dal Nazareno, appena quattro sono collegabili alle competenze della commissione Giustizia. Il Senatore leghista Roberto Calderoli fa notare come siano stati gli stessi membri della commissione a chiedere di poter esaminare il testo. Una circostanza smentita da tutti i partiti di Maggioranza. Valeria Valente e Franco Mirabelli, capigruppo PD nelle commissioni, si domandano se la decisione di Casellati sia derivata da sollecitazioni provenute dalla Lega: “L’esame di questo tipo di provvedimenti, di pertinenza del ministero dell’Interno, è sempre stato assegnato alla Affari costituzionali, così è stato alla Camera, così è stato anche per i decreti di Salvini“, spiegano. Ma perplessi sono anche Julia Unterberger e Gianclaudio Bressa per le Autonomie, oltre a Loredana De Petris per Leu.

Secondo il Movimento 5 Stelle, si tratta di una scelta singolare. Nel comunicato diramato dalla prima forza politica del Parlamento si ipotizza che “alla Presidente Casellati è giunta una richiesta in tal senso da parte della presidenza leghista della commissione Giustizia” senza che vi sia stato un voto tra i componenti della commissione stessa, “né un pronunciamento dei capigruppo“.

Sul fronte opposto si schierano naturalmente i partiti di Centrodestra, che difendono la scelta della Presidente del Senato, definita “logica” per via della “naturale e ovvia competenza per materia” in una lega firmata dai capigruppo di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

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