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Politica

Reddito di Cittadinanza, un salasso da 26 miliardi di euro: e Lugi Di Maio ha compreso che non funziona

Nei giorni scorsi il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha aperto alla possibilità di apportare modifiche al Reddito di Cittadinanza. I dati, fin qui, certificano che la misura non ha ottenuto i risultati che perseguiva. 

Luigi Di Maio/Facebook Luigi Di Maio

Chissà che non siano in arrivo importanti novità per quel che riguarda il Reddito di cittadinanza. La misura, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, è stata recentemente oggetto di critiche da parte di quel Luigi Di Maio che ne è stato, a tutti gli effetti, il padre politico. Nei “Dieci punti per una svolta” pubblicati sul quotidiano Il Foglio – che tanto sono piaciuti anche all’ex rivale storico Renato Brunetta – sono state evidenziate le criticità nel funzionamento del Reddito aprendo a possibili modifiche. Quando è stata concepita, la misura in questione si poneva un duplice, ambizioso obiettivo: da una parte intervenire in modo forte per combattere le situazioni di indigenza, dall’altra riattivare il mercato del lavoro, considerato il vero punto d’origine della condizione di povertà che riguardava – e per la verità continua, sempre di più, a riguardare – milioni di italiani. Per sostenere questo tipo di intervento, il budget previsto dal Movimento era di 16 miliardi di euro: una parte da erogare direttamente in forma di sussidio, l’altra da destinare al rafforzamento dei Centri per l’impiego. Un meccanismo che, però, non ha portato i risultati sperati. In effetti il malfunzionamento dei Centri per l’impiego nel nostro Paese affonda le radici indietro negli anni e non può essere risolto soltanto con un maggiore stanziamento di fondi. Soprattutto perché per migliorare veramente i dati relativi all’occupazione non è sufficiente intervenire sull’offerta, ma bisogna agire sulla cronica debolezza della domanda di lavoro.

Come se non bastasse, il risultato elettorale del 2018, non è stato sufficiente a garantire la Maggioranza del Movimento fondato da Beppe Grillo, con la più ovvia  delle conseguenze: la nascita di un Governo di coalizione, all’interno del quale anche la Lega ha spinto per far sentire la propria voce. E così, a braccetto con il Reddito di Cittadinanza, ecco che l’Esecutivo giallo-verde decise di varare anche Quota 100. La cifra complessiva a disposizione di questi due provvedimenti, però, è rimasta la stessa: 16 miliardi totali, facendo sì che la misura che avrebbe dovuto abolire la povertà vedesse dimezzato lo stanziamento a disposizione: 6 miliardi, cui si aggiunsero altri 2 miliardi per rifinanziare il Reddito di inclusione, ereditato dal precedente Governo guidato da Paolo Gentiloni.

Agli ostacoli iniziali si sono poi sommate, strada facendo, ulteriori difficoltà: su tutti la mancata collaborazione tra Governo centrale ed enti locali. Il risultato ottenuto, tra errori di valutazione, problematiche strutturali, complicazioni in fase di attuazione, è infine ben magro. Del RdC hanno beneficiato 1,1 milioni di famiglie, per 3,1 milioni complessivi di cittadini. Tra questi, sono appena 200 mila gli italiani che – non è chiaro se autonomamente o attraverso i centri per l’impiego – hanno nel frattempo trovato lavoro. Tanto che all’interno dello stesso Movimento 5 Stelle sono iniziate a fioccare valutazioni sulla possibilità di rimodulare il tipo di intervento. Se non venisse modificato il RdC potrebbe costare all’Erario per il triennio 2020- 2023 qualcosa come 26 miliardi di euro: un cifra certo non sostenibile nell’Italia ai tempi del Covid. Siamo alla resa dei conti, dunque, e tra quelli che l’hanno compreso c’è anche il Ministro degli Esteri. Il problema ora  sarà quello di salvare la borsa senza perdere la faccia.

 

Pubblicato da
Lorenzo Palmisciano

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