Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’università della Florida, avverte: il vaccino non è una panacea, bisognerà portare ancora la mascherina. E sulla partenza del piano italiano per la vaccinazione ci sono già i primi ritardi.
L’arrivo del vaccino contro il Covid 19 non dovrebbe far abbassare la guardia alle persone, che dovrebbero continuare a portare la mascherina. A dirlo la professoressa Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’università della Florida. “Chi si vaccina contro il coronavirus non si ammala ma si può infettare lo stesso e trasmettere la malattia se non porta la mascherina”, ha affermato Capua in un intervento al programma Di Martedì, su LA7. Per l’esperta, quando gli effetti della vaccinazione cominceranno a vedersi, anche i più scettici sui vaccini cambieranno idea e decideranno di vaccinarsi. Ma i problemi relazionati alla efficacia del vaccino contro il nuovo coronavirus non sono nuovi. Infatti, come spiega Capua, sono rari i vaccini che danno “immunità sterile”, facendo sì che chi “incontra il virus” sia totalmente impermeabile alla infezione.
“Nel mondo reale, prosegue la scienziata, se sono vaccinato ho una barriera che mi protegge dalla malattia. Ma da vaccinato posso andare in giro come se fossi sicuro al 100%?, si domanda. “La risposta è no. Quando si parla di efficacia, si fa riferimento alla malattia“. Capua ricorda però che anche se un vaccino non è efficace al 100% contro l’infezione, la riduce drasticamente. Per questo dopo l’arrivo del vaccino non ci potrà essere un “tana libera tutti”. Anche perchè, ci vorranno mesi per vaccinare l’intera popolazione, il che dipenderà da un piano di vaccinazione molto ben organizzato. Chi vede nel vaccino la panacea di tutti i mali si sbaglia, perchè è soltanto “uno degli strumenti“.
E sul piano italiano per la vaccinazione dal Covid si parte male. Anche se il piano ancora non c’è, si segnalano i primi ritardi ed errori. In effetti, nella lettera inviata al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri il 17 novembre, si chiede alle Regioni di indicare, “entro venerdì 23 novembre” – mentre venerdì era in realtà il 21 novembre – le strutture idonee, nelle 107 Province italiane, a partire dagli ospedali, in grado di conservare il vaccino di Pfizer. Quello realizzato dalla casa farmaceutica statunitense insieme alla tedesca BionTech sarà probabilmente tra i primi vaccini ad arrivare, ma anche forse quello più delicato da gestire, dovuto alla necessità di assicurare una catena del freddo che richiede la conservazione a -75 gradi. Ma a venerdì scorso, soltanto 10 Regioni avevano risposto, vale a dire la metà, che martedì 23 novembre erano salite a tredici.
Il piano per la vaccinazione che si sta elaborando in questi giorni si baserà su quello tedesco. L’obiettivo del ministro Roberto Speranza è quello di presentarlo nei prossimi giorni in Parlamento, dove si dovrà discutere anche del problema della “obbligatorietà” del vaccino. Il quadro che si sta delineando è quello di puntare più su una “raccomandazione”. Sull’ordine di vaccinazione, dovrebbero avere la priorità prima gli operatori sanitari e poi anziani (soprattutto nelle Rsa) e le forze dell’ordine.