Matteo Renzi, un solo rimpianto: “Non essermi levato di torno, e per sempre, dopo la sconfitta al referendum”

Si lascia andare ai ricordi, Matteo Renzi. Proprio nei giorni in cui sembrano prepararsi grandi cambiamenti nello scenario politico – con un possibile avvicinamento tra Italia Viva e Silvio Berlusconi – l’ex Premier torna con la memoria agli anni in cui era alla guida del Paese: dallo sgambetto ad Enrico Letta, fino al fallimento nel Referendum.

Renzi: "Io il passato lo rivendico"
Matteo Renzi/Andreas Solaro, Getty Images

Erano mesi, forse anni, che Matteo Renzi non era tanto attivo. Sia chiaro, il personaggio non ha mai amato rimanere troppo a lungo in disparte, ma la mole di interviste, dichiarazioni, manovre messa in campo dall’ex Premier nelle ultime settimane non si registrava da un po’ di tempo. Chissà che non significhi che qualcosa, forse qualcosa di grosso, bolle in pentola: magari un “nuovo centro” cui dar vita insieme al leader di Azione Carlo Calenda e a Silvio Berlusconi, in rotta con il Centrodestra e oggetto si un serrato corteggiamento da parte dell’ex segretario Pd.

Il ritorno, da ospite, a Palazzo Chigi

Nessun effetto, nessun impatto, neanche un fremito. E’ questo l’effetto che fa – o meglio, non fa – a Matteo Renzi il ritorno a Palazzo Chigi, dove è tornato lo scorso 5 novembre, in occasione di un incontro con il Premier Giuseppe Conte, a quattro anni di distanza dalla fine della sua avventura alla guida del Governo. “Conte mi fa ‘oh, ma tu qua ci lavoravi, vero?’ C’era un ordine maniacale, quando ci stavo io era tutto un casino, carte ovunque“, racconta nel corso di un’intervista rilasciata a 7, settimanale de Il Corriere della Sera.

Le differenze. Le nota, Matteo Renzi, rientrando nell’appartamento destinato al Premier all’interno di Palazzo Chigi, ma non prova nulla: “Nessuna emozione“, garantisce. Tanto da arrivare a parlarne – con un pizzico di preoccupazione – anche con la moglie Agnese, una volta rientrato a casa la sera. “Torni dopo tanto tempo in un posto in cui hai passato anni meravigliosi, pensavo mi colpisse. Invece nulla“, insiste. Su cosa abbia realmente provato Matteo Renzi, tornando sul “luogo del delitto“, non possiamo indagare. Una certezza, invece, è l’immagine di sé che l’ex sindaco di Firenze vuole ora proiettare: quella di un uomo concentrato sul futuro, più che sui ricordi. Eppure, nell’intervista che concede, Renzi di ricordi ne cita parecchi. A partire dalla fine della sua traiettoria al Governo, quando il Referendum sulla riforma Costituzionale da lui tanto desiderata lo spazzò via dalla scena, almeno per un po’: “Io sono un uomo fortunato. Ho fatto il presidente del Consiglio a trentanove anni, ho realizzato riforme che hanno portato un cambiamento nella società, nell’economia, nel lavoro, nei diritti civili, che forse saranno più apprezzate ora di quanto non lo siano state in passato“, rivendica. Certo, all’appello manca quella riforma, la più importante, quella che lui non ha mai dimenticato e che “oggi qualcuno rimpiange“: la modifica alla Costituzione da lui tanto voluta. Il quadro, però, è quello dell’uomo soddisfatto di ciò che ha portato a termine, con un unico rimpianto: “Non essermi levato di torno, e per sempre, subito dopo la sconfitta al referendum“, dice.

Il mancato addio alla scena politica

La sua intenzione era chiara, spiega ancora il leader di Italia Viva: abbandonare la politica come più volte annunciato durante la campagna referendaria. Addirittura, spiega Renzi per sottolineare la forza della sua posizione di allora, aveva già portato avanti delle trattative per un nuovo lavoro – sul quale non dà però maggiori indicazioni – negli Stati Uniti. Poi, racconta, fu il partito – oltre alla grande quantità di cittadini comuni che lo contattò via mail – a garantirgli che la legislatura si sarebbe conclusa nel giro di pochi mesi, con il Pd che si sarebbe presentato al voto in primavera forte di sondaggi che lo attestavano intorno al 35%. Le cose, però, andarono diversamente: il Governo Gentiloni arrivò a fine legislatura e le elezioni, nel 2018, presero una piega completamente diversa.

Le dimissioni del 2016

Poi, un altro flash dal passato: l’addio a Palazzo Chigi nel 2016, all’indomani della sconfitta nel Referendum. “Volevo dimettermi prima del voto, magari nella speranza che facendomi da parte il Sì alla riforma potesse rimontare”, spiega, ricordando di aver comunicato – la mattina stessa del voto – la decisione di dimettersi addirittura alla Cancelliera tedesca Angela Merkel, i cui tentativi di persuasione furono vani: la decisione ormai era presa e per l’Italia stava già cominciando il “dopo Renzi“.

Anche su questo, però, l’ex sindaco ha le idee chiare. Non fu la sconfitta referendaria a metterlo all’angolo, ma la gestione dei mesi – degli anni – successivi: “Il renzismo muore non al referendum, come qualcuno pensa. Ma dopo, con le liti sulle alleanze e le alchimie, lo ius soli, il dibattito sull’immigrazione“, garantisce, prima di lasciarsi andare al rimpianto per non aver accettato quel posto negli States. A parte questo, nessun tentennamento, nessun passo indietro, nessun rimorso: “Io il passato lo rivendico, tutto“.

L’elezione di Sergio Mattarella

In particolare, Renzi si inorgoglisce quando ricorda i giorni che portarono all’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Una manovra politica perfettamente orchestrata di cui si prende il merito, sottolineando come – nella storia del nostro paese – anche personaggi politici di altissimo rilievo siano inciampati sulla soglia del Quirinale: su tutti, Giulio Andreotti. Nel manuale dei capolavori politici, invece, Renzi inserisce l’elezione di Francesco Cossiga con la regia di Ciriaco De Mita, l’operazione di Walter Veltroni e Massimo D’Alema ai tempi della presidenza di Carlo Azeglio Ciampi e “senza falsa modestia, i 665 voti con cui il 31 gennaio del 2015 arrivammo all’elezione di Sergio Mattarella“. Un evento che segnò anche la fine del Patto del Nazareno, l’accordo che lo stesso Renzi aveva stretto con lo storico rivale del Pd, Silvio Berlusconi. Furono settimane di trattative intense, ricorda il leader di Italia Viva, con in ballo i nomi di Giuliano Amato e Franco Marini. Riunioni, incontri, imboscate e trame sottotraccia: Renzi e Berlusconi lavorarono – nel ricordo dell’ex sindaco di Firenze – in direzioni opposte, pur mantenendo una posizione di facciata fatta di costanti contatti e confronti. E alla fine a spuntarla fu proprio l’allora segretario Pd, capace di mettere in campo il nome giusto al momento giusto.

“Enrico, stai sereno”

Un anno prima, Renzi era arrivato a Palazzo Chigi dopo una manovra – passata alla storia con la frase “Enrico stai sereno” – che mise all’angolo il Presidente del Consiglio in carica, nonché collega di partito, Enrico Letta. Ma il leader di Italia Viva minimizza, garantendo di aver pronunciato le fatidiche parole con la massima buona fede. Le cose, spiega, cambiarono dopo: un sabato, ricorda Renzi, arriva una telefonata dal Quirinale. In ballo c’è un invito a cena per il lunedì successivo. A tavola, insieme al padrone di casa Giorgio Napolitano, lo stesso Renzi ed il Premier Letta. Ma tra le fila del Pd, prosegue nel racconto l’ex sindaco di Firenze, c’era malcontento. “I bersaniani chiedevano un cambio di passo“, garantisce. E così – a sua insaputa – il lunedì della cena, lo scenario era completamente mutato: “L’invito a cena era confermato, la presenza di Letta non più. A cena siamo io e il presidente Napolitano“. Da lì, passeranno pochi giorni prima dell’ingresso di Renzi a Palazzo Chigi e del drammatico passaggio della campanella con Letta.

 

 

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