Qualche giorno fa il Commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha dichiarato che in Italia non vi è alcuna pressione sulle terapie intensive. Ma i rianimatori e gli anestesisti che lavorano nei reparti non sono dello stesso parere.
Un paio di giorni fa il Commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri, ha dichiarato che la situazione delle terapie intensive di oggi non è paragonabile a quelle di marzo, che ora le rianimazioni non sono sotto pressione. Affermazione che è suonata strana un po’ a tutti, soprattutto viste, invece, le dichiarazioni di medici e politici i quali – ogni giorno – lanciano appelli poco rassicuranti e parlano già di un Natale in solitudine, senza cenone, senza amici e – addirittura -senza anziani a tavola. Ma Arcuri, senza esitazione, ha spiegato: “Abbiamo circa 10 mila posti di terapia intensiva e, il prossimo mese, arriveremo a 11.300. I ricoverati per Covid in terapia intensiva attualmente sono circa 3300: quindi la pressione su questi reparti non c’è”. E ha, anzi, acussato di essere non obiettivo – o di non saper fare i calcoli- chi sostiene che il Governo si sia fatto cogliere impreparato dalla seconda ondata di Covid.
Le affermazioni rassicuranti di Arcuri da un lato hanno certamente fatto ben sperare ma dall’altro hanno anche sollevato dubbi: perché sempre più regioni in zona rossa se le terapie intensive non sono sotto pressione? Infatti la situazione dei reparti di rianimazione è uno dei criteri più importanti di cui il Ministro della Salute Roberto Speranza tiene conto per decidere in quale fascia collocare una Regione. E, infatti, a distanza di pochi giorni, i rianimatori sono intervenuti per smentire quanto sostenuto da Arcuri. Il dottor Antonio Giarratano, presidente di Siaarti – intervistato da Agorà, su Rai 3 – ha risposto al Commissario straordinario: “Nelle Regioni a zona rossa la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni e molto, ma molto, pesante. Sostenere che 10.000 ventilatori possano garantire un margine sufficiente per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensare che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è così”.
Contro le dichiarazioni di Arcuri è intervenuto anche il segretario generale dell’Anaao Assomed, Carlo Palermo il quale ha mostrato una realtà ospedaliera ben diversa da quella descritta dal Commissario: “I posti in terapia intensiva oggi attivi in Italia sono 7500 e non 11 mila. La soglia del 30% – indicata come livello di allarme – di posti letto dedicati al Covid corrisponde a circa 2300 ricoveri: oggi siamo a 3492, dunque siamo oltre il 40%. E in molte realtà i pazienti attendono giorni intubati nei pronto soccorso prima di essere ricoverati nei reparti intensivi”. Si è fatto sentire anche Federico Gelli, presidente della Fondazione Italia in Salute e coordinatore dell’Unità Sanitaria di Crisi della AUSL Toscana. Gelli ha smentito anche un altro dato riferito da Arcuri, ovvero i ricoveri in rianimazione della prima ondata e ha spiegato: “Il picco di ricoveri durante la prima ondata non è stato circa 7 mila, come ha detto Arcuri. E’ stato 4068 del 3 aprile”. Pertanto, è chiaro, che l’attuale situazione non dista poi molto da quella della prima ondata.
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