Torna ad accendersi in Italia il dibattito sulla patrimoniale. In realtà, il nostro sistema fiscale prevede già 4 imposte che rientrano in questa tipologia e, al di là delle dichiarazioni “a titolo personale” del Ministro Provenzano, il Governo non ha mosso passi verso l’introduzione di una nuova imposta.
Il tema dell’introduzione di una tassa patrimoniale torna, ciclicamente, ad affacciarsi nel dibattito politico italiano. Anche in questi giorni la questione è tornata ad essere molto discussa: le recenti dichiarazioni del Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale Giuseppe Provenzano – che arrivano a ridosso di quelle dell’ex Premier Mario Monti – sembrano aver scoperchiato il vaso di Pandora. Dal quale, come sempre accade quando si evoca la patrimoniale, fuoriescono fiumi di dichiarazioni tra possibilisti e contrari.
In realtà, nel nostro paese questo tipo di imposizione fiscale esiste già, ed è concretamente applicata attraverso quattro diverse tasse: si tratta dell’Ivafe – l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero -, dell’Ivie, imposta sul valore degli immobili situati all’estero, dell’imposta di bollo e dell’Imu, certamente la più conosciuta tra le quattro. Tassazioni che vanno per lo più ad agire sui beni che compongono i patrimoni di contribuenti ed enti. Ma l’ipotesi circolata in queste settimane, e che tuttavia non ha mai trovato alcuna esplicita conferma da parte del Governo, riguarda l’opportunità di intervenire con una tassazione diretta dei redditi più consistenti.
Come detto, nessuna dichiarazione ufficiale da parte dell’Esecutivo – lo stesso Provenzano ha chiarito in una nota di essere “personalmente” favorevole all’introduzione di alcune imposte, come quella di successione, sui grandi patrimoni. Ma una serie di riferimenti, seminati qua e là, potrebbero far pensare che in futuro qualche tipo di intervento in questo senso possa concretizzarsi, anche perché i dati economici, già gravati fino all’inizio del 2020 da un pesantissimo debito pubblico, si sono inevitabilmente e sensibilmente aggravati con il dilagare della pandemia.
D’altra parte, l’esistenza di altri strumenti di sostegno – tutti di matrice comunitaria – come il Recovery Fund e la sottoscrizione dei titoli di debito pubblico da parte della Bce potrebbe indurre a pensare che l’introduzione di nuove imposta possa non rendersi necessaria, anche in considerazione della profonda impopolarità che porta con sé l’imposizione di una patrimoniale.
Le quattro patrimoniali già esistenti
A questo, come accennato, si aggiunga il fatto che, a tutti gli effetti, nel nostro sistema fiscale sono già presenti ben quattro diverse tipologie di imposte patrimoniali. L’IMU, che si riferisce alle persone fisiche e incide sulla proprietà immobiliare, prevede – ad esclusione della prima casa – un’aliquota dello 0,76% sul valore catastale. Valore analogo per l’Ivie, che trova però applicazione esclusivamente sugli immobili di proprietà localizzati oltre i confini nazionali. L’imposta di bollo, riferita sia ad enti che alle persone fisiche, incide sugli asset finanziari in base al loro valore di mercato, imponendo un’aliquota dello 0,2%. Ultima delle quattro, l’Ivafe: rivolta a persone isiche, società semplici ed enti non commerciali, va ad imporre agli asset finanziari esteri un’aliquota dello 0,2% sul valore di mercato.
Quattro tasse che rientrano a pieno titolo nella definizione di patrimoniali e che, per definizione, vanno ad incidere solo su certe tipologie di patrimonio, escludendo una parte consistente dei contribuenti italiani.
L’idea di De Benedetti
A queste, dunque, non è del tutto escluso che possa aggiungersi un intervento ulteriore, dettato dalla difficoltà del momento. Il primo a dare al Governo un suggerimento di questo tipo era stato l’ex editore de La Repubblica Carlo De Benedetti, che aveva consigliato l’introduzione di una “tassazione sul patrimonio dello 0,8% annuo“. Un intervento ispirato alle modalità vigenti in Svizzera, dove l’ingegnere risiede e paga le tasse, finalizzato, tra le altre cose a “risolvere il problema delle diseguaglianze sociali“. Una mossa definita “impopolare” dallo stesso De Benedetti, che la riterrebbe, tuttavia, corretta.
E probabilmente anche all’interno del Governo sono consapevoli dello scarso fascino che una simile decisione potrebbe esercitare sull’elettorato, se è vero che le uniche – vaghe – dichiarazioni in merito ad una possibile patrimoniale furono rilasciate dal Premier Giuseppe Conte a maggio, quando affermò che il grande risparmio privato degli italiani rappresenta “una delle ragioni di forza della nostra economia“, in merito, poi aveva detto: “Ci sono tanti progetti, vedremo a tempo debito“. Un’affermazione che fece immediatamente scattare il sospetto in molti addetti ai lavori, cui però, a onor del vero, non è stato dato seguito, da parte dell’Esecutivo, in alcun modo.
Le parole di Gentiloni
Più specifiche, invece, le affermazioni di Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, che aveva inserito tra le misure a suo giudizio utili per l’Italia l’abolizione dell’esenzione Imu per l’abitazione principale. Secondo l’ex Premier, una simile misura avrebbe garantito entrate supplementari utili a ridurre la pressione fiscale sul mondo del lavoro, in modo da poter fornire “ulteriore incentivi a lavorare” e da determinare ripercussioni positive sulla crescita economica. Un intervento, quello tratteggiato da Gentiloni, che andrebbe ad incidere su moltissime famiglie italiane che, pur essendo proprietarie della casa in cui abitano, non potrebbero di certo essere complessivamente considerate come beneficiarie di grandi patrimoni.
La proposta del Pd alla Camera
L’unica iniziativa parlamentare presa in questa direzione risale ad aprile e consiste in un emendamento, proposto alla Camera dal Partito Democratico, intitolato “Proposta contributo di solidarietà per redditi Irpef superiori a 80.000 euro lordi annui“. Una vera patrimoniale, che avrebbe previsto un contributo compreso tra il 4% e l’8% dell’imponibile Irpef, sulla base di una suddivisione in cinque fasce di reddito: il contributo di solidarietà sarebbe così oscillato tra i 110 euro annui – previsti per chi rientrava nella prima soglia, compresa tra 80 mila e 90 mila euro annui – e i 54mila euro l’anno per coloro che superassero la soglia del milione di euro. Un intervento, quindi, che avrebbe agito quasi esclusivamente sulle fasce più ricche della popolazione, producendo un gettito annuo stimato in 1,3 miliardi di euro.
L’iniziativa suscitò scalpore e polemiche, con un coro di contrarietà che si levò anche dall’interno della Maggioranza di Governo. Alle dure reazioni di Vito Crimi – che per il Movimento 5 Stelle definì quella del PD come “una loro proposta” – e del coordinatore di Italia Viva Ettore Rosato – “Dai nostri partner di governo in 24 ore ho sentito no alla riapertura graduale delle imprese, no all’attivazione del sostegno europeo tramite il Mes e sì alla patrimoniale. Auguri Italia“, twittò – si aggiunsero le dichiarazioni dello stesso Conte, che intervenne per chiarire che “Il governo non ha fatto questa proposta e non la vedo all’orizzonte“. Il capogruppo democratico alla Camera Graziano Delrio, estensore dell’emendamento finito nell’occhio del ciclone, spiegò, all’epoca, che il provvedimento intendeva andare “in direzione della giustizia sociale“, oltre a specificare che la misura avrebbe avuto “carattere temporaneo e non sarebbe richiesta a chi ha subito danni dalla crisi“.
Farinetti: serve prelievo forzoso
Tra le poche voci a sostegno della proposta, quella di Oscar Farinetti, fondatore e patron di Eataly, secondo cui il vero problema era rappresentato dal nome: “Sentiamo patrimoniale e mettiamo mano alla pistola“, disse all’epoca l’imprenditore. “Abbiamo nelle nostre mani il 5,4% della ricchezza mondiale“, disse ancora Farinetti, auspicando un prelievo forzoso come quello imposto dal Governo di Giuliano Amato nel 1992: “Se contribuissimo alla ricostruzione versando il 2% di questa bella montagna di quattrini, manderemmo nelle casse dello Stato – una tantum – 82 miliardi di euro“. Non una somma da poco.