Da infermiera a Verona a barista a Roma e poi di nuovo in corsia nella Capitale. La singolare storia di Silvia Carpene, una 33enne che con le mani in mano non sa e non vuole starci.
Una delle categorie sicuramente più penalizzate dalle misure restrittive contenute nel Dpcm di novembre del Premier Giuseppe Conte, sono i ristoratori e i baristi. Nella migliore delle ipotesi sono costretti a chiudere alle ore 18. Nella peggiore – nelle Regioni finite nella fascia rossa e arancione – possono effettuare solo servizio di asporto fino alle ore 22 o consegne a domicilio. E nel caso dell’asporto i clienti devono consumare a distanza dal locale come da Decreto. Nelle scorse settimane alcuni gestori di bar e ristoranti hanno messo in pratica una forma di disobbedienza pacifica e hanno aperto ugualmente oltre l’orario consentito. C’è chi, invece, ha scelto un’altra strada e, di necessità virtù, si è rimboccata le mani in un altro modo.
Silvia Carpene, 33enne originaria del Veneto, si è trasferita a Roma due anni fa dove ha realizzato il suo sogno: aprire un locale, il “Buseto“, un “buchetto” di appena tredici metri quadri. “Mi sono innamorata di un ragazzo romano così ho deciso di cambiare vita: mi sono lanciata e ho deciso di diventare un imprenditore”. Silvia ha tenuto duro nonostante gli spacciatori della zona abbiano fatto di tutto per scoraggiarla e indurla a chiudere arrivando anche ad appenderle la testa di una gallina fuori dal locale. Ma la ragazza non ha mai mollato: il suo Busetto era la sua sfida. Il locale però non è stato risparmiato dalle misure restrittive del Dpcm. Silvia, che solitamente iniziava a lavorare alle 19, ora è costretta a tirare giù la saracinesca alle 18. Eppure lei – come tanti altri – aveva rispettato tutte le regole e aveva investito parecchio denaro per mettere tutto a norma secondo le disposizioni anti Covid del Governo. Intervistata dal Corriere della Sera ha spiegato: “Ho riaperto il 18 maggio nell’incertezza.Ho investito per mettere a norma il locale, sistemare gli igienizzanti, distanziare i tavoli, sanificare gli interni”. Ma nonostante tutte le restrizioni e il rispetto delle norme, secondo gli esperti un secondo lockdown appare ormai inevitabile.
Silvia il 2 novembre scorso era in piazza del Popolo insieme a migliaia di altri ristoratori e gestori di bar ed enoteche nel tentativo di far sentire la loro voce al Governo. Tuttavia, nel frattempo, la ragazza non è stata con le mani in mano ma è tornata in corsia. Già, perché Silvia Carpene, prima di trasferirsi nella Capitale, lavorava come infermiera all’ospedale Borgo Roma di Verona: per ben 9 anni ha lavorato nelle terapie intensive. E così, durante il primo lockdown della scorsa primavera – costretta alla chiusura totale – Silvia si è rimessa il camicie bianco ed è tornata a fare l’infermiera a Roma: “So benissimo cosa significa e ho sentito la chiamata alle armi. Non mi interessava il guadagno, volevo sentirmi utile”. Tuttavia ora ad avere bisogno di aiuto è anche lei, per non dover chiudere i battenti del Buseto una volta e per sempre: “ Già con la chiusura alle 18 mi sono sentita in difficoltà anche percHè gli aiuti economici che mi sono arrivati sono stati davvero ridicoli. Per quanto potrò andare avanti? Per quanto i fornitori potranno aspettarmi? Come faccio con i ragazzi, con i dipendenti? Come faccio a lasciarli a piedi?” .
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