Per l’attivista svedese, la priorità ora è quella di combattere la pandemia da coronavirus. Ma il vero problema è che non trattiamo la crisi ambientale come una vera crisi. Intanto, i governi continuano a investire troppo su attività ad alte emissioni.
Se in futuro impareremo a trattare la crisi ambientale come una crisi, forse riusciremo davvero a cambiare le cose e anche a sensibilizzare di più le persone. Sono le parole dell’attivista svedese Greta Thunberg, che ha rilasciato una intervista a Repubblica, in occasione della uscita on demand, del documentario “I am Greta, Una forza della natura”. Il documentario è diretto dal regista Nathan Grossman, che ha seguito per un intero anno l’attivista, registrando la sua progressiva evoluzione e l’aumento della sua fama mondiale: dallo sciopero solitario dinanzi al Parlamento di Stoccolma fino al vertice sul clima delle Nazioni Unite, a New York.
Il concetto di Greta è chiaro: se un virus è capace di distruggere completamente le economie, vuol dire che queste economie non sono sostenibili. “Dobbiamo ripensare le cose e iniziare a vivere in modo sostenibile”, ha detto. Ma la giovane attivista ha ben chiare le priorità, e sa che in un momento come quello che stiamo vivendo, è “logico che altre questioni vengano messe in secondo piano”. Senza però mettere a confronto la crisi pandemica con quella ambientale, che non va però dimenticata, neanche in questo periodo. Anche se i viaggi per ora non sono possibili, i progetti non si fermano. “Continuiamo a portare avanti la nostra causa in ogni modo possibile”, prosegue. “Navighiamo giorno per giorno, è difficile pianificare un progetto”. Per questo è necessario più che mai trovare modi diversi, creativi, di portare avanti la causa e di realizzare le manifestazioni, rispettando le regole e le misure di sicurezza. “Le marce devono essere distanziate e soprattutto dobbiamo usare gli strumenti online”, sostiene. Greta cita l’esempio di iniziative locali creative, “scioperi digitali settimanali di successo”. Oppure le “azioni simboliche, cartelli e scarpe fuori dai palazzi delle istituzioni, per dire ‘vorremmo essere lì’”. Al di là delle specifiche modalità di manifestazione che il movimento riesca a portare avanti in questo momento, Greta è ottimista sul futuro, e sostiene che la risposta messa in atto dai governi contro il virus dimostra che “siamo in grado di affrontare una crisi e che dobbiamo ascoltare la scienza”.
I governi continuano a investire su attività inquinanti
Il problema dunque non è se riusciamo a risolvere una crisi, ma resta quello dell’essere o non in grado di identificare una crisi, e trattarla come tale. Cosa che non avviene oggi con la crisi ambientale. Questa sì, di portata esponenzialmente maggiore alla crisi pandemica, ma il cui nesso di causalità è per certi versi più nascosto, meno evidente, e quindi più ‘insidioso’. Almeno per tante leadership mondiali. Non per caso il quotidiano britannico Guardian ha commissionato la realizzazione di uno studio al think-tank Vivid Economics, per capire le possibili conseguenze sull’ambiente dei piani di rilancio e di sostegno all’economia adottati nel mondo a causa della emergenza Covid. I dati emersi sono inquietanti: le politiche approvate rischiano di avere un pesante effetto negativo sull’ambiente, perché “aiutano di più le attività tradizionali ad elevate emissioni di gas serra, piuttosto che quelle a basse o nulle emissioni”. In Italia, per esempio, i sussidi alle imprese legate alle fonti fossili avranno effetti negativi quasi quattro volte rispetto a quelli positivi degli aiuti alle imprese cosiddette “green”.
Ma il caso italiano non è isolato. Secondo lo studio, soltanto quattro grandi Stati al mondo hanno oggi piani di sostegno che produrranno più effetti positivi sull’ambiente: Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania. Ai quali però va aggiunta anche l’Unione Europea, che ha uno dei più ambiziosi piani per le politiche ambientali nei prossimi decenni mai visti. Ma in ambito nazionale, gli aiuti che beneficeranno l’uso delle fonti fossili o comunque altre attività ad alta emissione di CO2 avranno effetti negativi “di gran lunga superiori a quelli positivi”. Anche se l’Italia, così come Canada, Corea del Sud e India, stanno investendo fortemente sull’economia pulita, il sostegno dato alle attività ad elevate emissioni è comunque superiore, e rischia di cancellare i benefici delle politiche green.
Resta la grande incognita statunitense. Ad oggi, le politiche di Trump – con ingenti benefici alle attività ad alta emissione – hanno dodici volte conseguenze negative sull’ambiente rispetto a quelli positivi, ottenuti grazie ai sussidi alle attività a bassa emissione. L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca potrebbe però portare a una vera svolta. Se l’amministrazione del Partito Democratico riuscisse ad approvare il piano di incentivi verdi per 2.000 miliardi di dollari – piano che è nel programma del Governo – gli effetti positivi potrebbero diventare il triplo di quelli negativi.