Un 75enne romano, infettato dal Covid, racconta come – in base alla sua esperienza – la malattia venga esasperata dalla situazione in cui versano gli ospedali.
Come è stato più volte spiegato dal Premier Giuseppe Conte e dal Ministro della Salute Roberto Speranza, uno dei criteri determinanti per decidere in quale fascia collocare una Regione – rossa, arancione oppure gialla – è la situazione degli ospedali. Oltre al numero di persone contagiate, è importante anche sapere quanti posti letto – ordinari e in rianimazione – sono occupati in una Regione. Ma in molti ospedali a venire meno, purtroppo, non sono solo i posti letto: mancano anche medici, infermieri e operatori sanitari. E’quanto emerge dal racconto del signor Bruno Q. un paziente Covid di 58 anni che per dodici giorni è rimasto su una barella del pronto soccorso, in attesa che si liberasse un posto letto presso l’ospedale San Camillo, nella Capitale. Dalle parole dell’uomo emerge una situazione al di sopra di ogni immaginario: prima l’attesa di ore per l’arrivo del 118 chiamato la mattina ma che è riuscito ad arrivare solo all’imbrunire. Poi, una volta al pronto soccorso, l’anziano è rimasto su una barella per unidici giorni prima che si liberasse un posto: “Io e gli altri pazienti vivevamo in un calvario. Per coprirci avevamo solo un lenzuolo ma di notte faceva freddo”. Bruno spiega che al pronto soccorso mancava il personale e, per quanto gli infermieri facessero di tutto per accudire chi arrivava, i ricoverati erano troppi da gestire: oltre 100 nelle ultime ore, tutti stipati in un’unica sala perché l’altra è stata chiusa. Senza contare il problema dei pasti: a volte i malati non mangiavano neppure perché gli ausiliari, per paura di venir contagiati, non volevano portare i pasti ai pazienti Covid. “E’ stato un incubo, peggio la sanità regionale che la malattia. Il Coronavirus mi ha lasciato piccoli segni ma la sanità pubblica, ridotta così, mi ha ferito mortalmente, più del virus”. Il Lazio, attualmente, è nella fascia gialla – quella ritenuta meno a rischio. E’ tra le Regioni in cui, il Governo, stima che il sistema sanitario non sia al collasso ma ancora in grado di reggere. Esattamente come la Campania dove recentemente un paziente – sospetto Covid – è morto in uno dei bagni dell’ospedale Cardarelli. Lunedì altre cinque Regioni sono passate dalla fascia gialla a quella arancione: Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo, Basilicata. Non Lazio né Campania. Eppure quello di Bruno non è il primo caso di questo genere. Qualche settimana fa una donna di 85 anni affetta da Alzheimer, è rimasta sulla barella dell’ambulanza tutta la notte in attesa di un posto letto all’ospedale Filippo Neri.
Triplicato il numero dei bambini nati morti
E al dramma dei pazienti Covid che versano in condizioni davvero al limite in alcuni ospedali, sempre nella Regione amministrata da Nicola Zingaretti si consuma un altro dramma: durante il lockdown è triplicato il numero dei bambini nati morti. I dati provengono da studio italiano, condotto dal team di Mario De Curtis dell’Università Sapienza di Roma, pubblicato su ‘Archives Disease in Childhood’. Secondo questa ricerca la mostra che l’aumento della mortalità non è direttamente dovuto al Covid in quanto, molto raramente il virus ha colpito una donna in stato di gravidanza. L’aumento dei bambini nati morti è, piuttosto, una conseguenza indiretta del Covid. In pratica, durante il lockdown, come sono state sospese le attività di screening che hanno portato ad un incremento del 12% dei morti di cancro al colon, così sono stati sospesi o reinviati anche i controlli per le donne incinte. E questo ha fatto sì che eventuali patologie nei feti non siano state individuate in tempo utile.