Il geriatra del Policlinico Gemelli di Roma spiega perché meno del 30% dei contagiati fa la quasi totalità dei morti per Covid-19. Si tratta di una malattia che uccide i più deboli. Ma neanche i giovani sani sono esenti di rischi.
Non se ne parla molto, o forse non se ne parla a sufficienza, ma per il Prof. Roberto Bernabei, geriatra del Policlinico Gemelli di Roma, si tratta di un dato da non sottovalutare: meno del 30% dei contagiati fa quasi la totalità dei morti per Covid-19. Si tratta delle persone over 80 e che sono affette da altre patologie. Che gli anziani fossero tra le fasce più a rischio nella matematica tra contagi e deceduti era noto, ma dati alla mano, emerge un quadro chiaro di come l’età – e le fragilità che essa portano con sé – sia uno degli elementi determinanti nella mortalità per i contagiati da Covid-19. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore della Sanità, i contagiati tra i zero e i 40 anni sono circa il 32%, percentuale che sale al 42% per gli adulti, ovvero tra i 30 e i 70 anni. Gli over 70 rappresentano quindi solo il 25% del totale delle persone contagiate, ma è tra queste fasce che si conteggiano il 90% dei morti. “Muoiono, in pratica, quasi solo ed esclusivamente i vecchi. L’età media dei deceduti, dall’inizio della pandemia, a marzo, fino ad oggi, super gli 80 anni”.
Sul perché si muore di Covid dopo gli 80 anni, o quali sono le patologie pregresse che si associano alla nuova malattia in maniera mortale, Bernabei non ha dubbi: muore di Covid chi ha quelle patologie che negli anziani possono essere più ricorrenti: diabete, ipertensione, insufficienza renale, fibrillazione atriale, scompenso di circolazione, sono le “malattie più candidate”. Ma che sono anche le “malattie della cronicità, della fragilità”. Ne è stata prova l’ondata di calore in Europa nel 2003, quando “morivano esattamente le persone con le stesse caratteristiche, ultra 80enne con le stesse patologie”. In quella occasione morirono 5000 persone, sempre con le stesse caratteristiche. Il problema, conclude Bernabei, è la “fragilità, che è emersa in modo prepotente. Perché per morire di Covid devi avere più di 80 anni e tre patologie”.
Ma se da una parte è vero che la probabilità che un giovane 25enne muoia in decorrenza del Covid-19 è 250 volte minore rispetto a quella di un 85enne contagiato, i rischi legati alla malattia sono ben altri, per qualunque fascia di età. Sono stati condotti una serie di studi su pazienti asintomatici per capire le conseguenze dell’infezione sulle queste persone. Secondo quando pubblicato sulla rivista Lancet, la maggior parte di loro ha riportato anomalie polmonari, ma non solo. I danni riportati con più frequenza coinvolgevano polmoni, cuore, reni e cervello. Infatti una delle scoperte importanti che si sono fatte nel corso dei mesi sul covid-19 è che si tratta di una malattia multisistemica, vale a dire che può provocare danni, anche prolungati, in più organi del corpo. Senza parlare della cosiddetta “sindrome post Covid” – che si manifesta con sintomi quali stanchezza cronica, febbre persistente, perdita dell’olfatto, perdita di memoria a breve termine, tra altri sintomi invalidanti.
Un articolo di luglio pubblicato sulla rivista scientifica Science, rivela che l’1,2 per cento dei trentenni malati di Covid finisce in ospedale, il che aumenta il rischio di disturbi cronici. I dati coincidono con una ricerca realizzata in Italia, secondo la quale il 90% dei pazienti ricoverati continua a manifestare sintomi dopo due mesi, e con uno studio condotto in Inghilterra, che è arrivato alle stesse conclusioni. Ma l’aspetto più preoccupante, sul quale non ci sono ancora sufficienti dati, è quello sulle possibili conseguenze della malattia nel lungo termine. E questo vale sia per gli anziani che per i giovani sani.