Niente rimpasto di Governo e apertura sulla riforma dell’architettura istituzionale. Il vertice di ieri tra il presidente del Consiglio e i leader della maggioranza ha messo al centro la divisione di competenze tra Stato centrale e Regioni
Niente rimpasto di governo. “Il tema non c’è” sul tavolo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel vertice di ieri a Palazzo Chigi, dove ha ricevuto le leadership della maggioranza per definire i punti del “patto di legislatura”. Presenti Vito Crimi per il M5S, Nicola Zingaretti per il Pd, Matteo Renzi per Italia Viva e Roberto Speranza per Leu. Il Patto è stato più volte richiesto da Zingaretti e da Renzi entro la fine di novembre, subito dopo gli Stati generali del Movimento che definiranno la nuova leadership dei grillini. E il dossier scelto da Conte per tenere unita la maggioranza è quello di una profonda revisione della struttura e dell’architettura istituzionale del Paese, in grado anche di riorganizzare i rapporti tra Stato e regioni, che in questi mesi di emergenza sanitaria sono stati al limite della tensione e della confusione. L’obiettivo del premier è quello di dare un orizzonte politico più ampio all’attuale alleanza, che vada oltre la gestione della crisi sanitaria o la necessità di arrivare uniti all’elezione del capo dello Stato. Partendo quindi da una riforma costituzionale che renda più efficace il sistema.
L’obiettivo è riportare al centro molte delle competenze che sono ad oggi in carico alle Regioni, cominciando dalla sanità. Ad oggi non mancano le proposte. La senatrice del M5S Paola Taverna ha già fatto una proposta per riportare la sanità all’ esclusiva competenza dello Stato. E la scorsa primavera, con la pandemia al suo inizio, il Pd aveva presentato una proposta per introdurre la clausola di supremazia a favore dello Stato, per rendere ragionevolmente flessibili il numero delle materie previste dall’articolo 7 della Costituzione. La proposta è stata presentata da Stefano Ceccanti alla Camera e da Dario Panini al Senato. Matteo Renzi è più che soddisfatto da questa possibilità di revisione dell’architettura istituzionale. Infatti la riforma Boschi del 2016, allora ostacolata dal M5S e in seguito bocciata al referendum costituzionale, prevedeva anche la riforma del Titolo V della Costituzione, con l’intento di riportare allo Stato molte delle materie che oggi sono in capo alle regioni. “L’importante è che si arrivi, anche se con quattro anni di ritardo”, è stato il commento del leader di Italia viva.
Se quattro anni fa non vi erano le condizioni istituzionali di proporre la riforma del Titolo V, ora invece, con la proposta di Conte, il quadro sembra esserci, o almeno i suoi alleati sembrano essere d’accordo. E non intendono intralciare il premier nell’attuazione delle misure volte a contrastare la pandemia. Infatti anche se alcuni alleati come Matteo Renzi chiedono più chiarezza sui dati scientifici alla base dell’ultimo Decreto, Conte non intende tornare indietro e su questo potrebbe contare sull’appoggio della maggioranza. Il leader di Italia Viva non ha richiesto modifiche al Dpcm ma ha invitato l’esecutivo a pianificare la distribuzione del vaccino. L’appello all’unità e alla collaborazione più anche con le opposizioni è arrivato anche da Zingaretti, che ha evidenziato la necessità di eliminare i “problemi strutturali che sono sul tappeto”, in modo da poter pianificare la ripresa. Unico accordo in salita nel vertice di ieri il Mes. Ieri il Commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni e il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola hanno riproposto l’attivazione del prestito del Fondo Salva-Stati che riempirebbe subito le casse dello stato con 36 miliardi di euro per le spese sanitarie. Zingaretti e Renzi hanno rilanciato, ma il M5S si è nuovamente messo di traverso, mentre Conte ha svicolato. Almeno finché i Cinque Stelle non si chiariscono negli Stati generali del 14-15 novembre, il tema resta fuori dall’agenda di governo.
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