Coronavirus 28.244 nuovi casi e 353 morti. Crisanti: “In tutta Italia restano solo 1000 posti nelle intensive”

Lo scienziato Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all’Università di Padova, torna ad esprimersi sul Covid. E le notizie non sono rassicuranti.

I dati del Ministero della Salute in merito alla situazione di oggi ci informano che i casi totali – attualmente positivi, morti e guariti – salgono di 28.244 unità e portano il totale a 759.829. Nelle ultime ventiquattro ore 353 morti che fanno salire il numero complessivo delle vittime a 39.412. Da ieri sono stati eseguiti 182.287 tamponi.

Gli attualmente positivi sono 418.142, +21.630 da ieri. I dimessi e i guariti salgono a 302.275 registrando un incremento di 6258 unità. I pazienti ricoverati sono 21.114, +1310 mentre nelle terapie intensive 2225 assistiti, +203 rispetto a ieri.

Coronavirus, Crisanti: terapie intensive già piene

Nel nuovo Dpcm di novembre che il Premier Giuseppe Conte ha illustrato ieri a Montecitorio, è prevista la suddivione delle regioni in tre fasce a seconda dell’indice di contagio del virus, di eventuali focolai ma anche a seconda della situazione in cui versano gli ospedali. E chi si dichiara – senza se e senza ma – decisamente preoccupato per la tenuta del sistema sanitario è lo scienziato Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia presso l’Università di Padova. Il professore spiega che i ricoveri di pazienti che necessitano di cure intensive continua a crescere a fronte di posti letto che mancano: “I posti in terapia intensiva liberi, ad oggi, non sono più di mille, se continua così, in 10 giorni sono saturati”. Crisanti ha spiegato che in tutta Italia i posti dedicati alla rianimazione sono 7000 ma di questi il 70-80% sono già occupati da altre emergenze. Ne segue che quelli che restano a disposizione per i pazienti Covid sono non più di 2.500, ma, in seguito all’impennata di ricoveri degli ultimi giorni, non ne restano più di 1000 liberi. E il professore non si sente di dare rassicurazioni su un rallentamento dei contagi, secondo lui, semplicemnte se in alcune giornate si registrano meno casi è da imputarsi al fatto che vengono eseguiti meno tamponi. A suo dire se venissero effettuati almeno 200.000 tamponi al giorno oggi saremmo intorno ai 34.000 contagi.

Secondo il docente padovano è importante agire preventivamente per riuscire a contenere quella che lui ritiene un male inevitabile: la terza ondata di Coronavirus che – secondo le sue stime – dovrebbe investire l’Italia il prossimo febbraio. Nel ribadire che una città come Milano – attuale epicentro del Covid – sarebbe dovuta essere chiusa già due settimane fa – lo scienziato puntualizza che non si può andare avanti sempre a scaglioni di lockdown ma è necessario iniziare ad avere una visione a lungo termine che sappia consolidare i risultati raggiunti. “Per me va bene qualsiasi misura di restrizione, perché prima o poi farà effetto ma non si può andare avanti con misure di restrizione per mesi e mesi. Nessun reset fa effetto se non abbiamo un piano per impedire che i casi risalgono e per consolidare i risultati”. La vera sfida non è più la seconda ondata. Il microbiologo guarda oltre e parla già di contenere la terza: “Se noi adesso adottiamo un lockdown estremamente rigido, a ridosso di Natale, i casi diminuiranno. Ma poi ci saranno mille pressioni per rimuovere le misure perché tutti vorranno uscire e andare in vacanza e a febbraio ci ritroveremo nella stessa situazione”. Uno scenario simile a quello già visto a giugno: i casi erano diminuiti , tutti ci siamo rasserenati e ci siamo goduti le vacanze estive senza pensare troppo alle misure anti Covid e poi a settembre il rientro è stato duro: un duro scontro con la risalita dei contagi.

Crisanti punta il dito contro le Regioni

Il professore non nasconde la sua preoccupazione per la gestione che – a suo dire – potrebbero avere determinate Regioni per aggirare il rischio di un secondo lockdown. Al momento sembrano essere tre quelle a rischio di una seconda chiusura delle attività: Lombardia, Piemonte e Calabria. Tuttavia a stabilire se una Regione va considerata o no a rischio – secondo quanto dispone il nuovo Dpcm – sarà il Governo. Per questo motivo, secondo Crisanti, alcuni potrebbero usare degli escamotage: “Se tenere aperta o chiudere una Regione diventa un fatto politico, se un presidente di Regione pensa che il successo politico si dimostra non chiudendo, è chiaro che ci sono mille modi per aggiustare i dati e stare sotto la soglia. Non ci vuole molto: basta non ricoverare o rimandare a casa persone che sono border line”. Crisanti non ha fatto nomi. Tuttavia i suoi dissapori con il governatore del Veneto Luca Zaia sono noti da tempo. Secondo lo scienziato, Zaia ha “capitalizzato” i risultati raggiunti con la gestione del Covid per farsi rieleggere alla guida del Veneto.

 

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