Brutte soprese attendono le generazioni più giovani. L’assegno pensionistico potrebbe essere parecchio inferiore rispetto a quello dei loro genitori.
Per le generazioni più giovani – i cosiddetti “millenials” – avere un posto fisso sembra sempre di più un miraggio. E anche quando lo si ha, l’attuale incertezza, genera malcontento. Un malcontento che, purtroppo, in diversi casi – e forse nelle personalità più fragili e con meno risorse – ha spinto a gesti estremi. Ma anche ammesso che, con tanti sacrifici e un pizzico di fortuna, si riesca ad ottenere un contratto a tempo indeterminato, alla fine della carriera il meritato riposo – che con l’abolizione di Quota 100 applaudita dall’ex ministro Elsa Fornero non potrà più arrivare anticipatamente a 62 anni nemmeno con 38 di contributi – potrebbe essere guastato da una brutta sorpresa: un assegno pensionistico pari alla metà – o anche meno – dell’ultimo stipendio percepito. A dirlo è uno studio realizzato da Progetica e Moneyfarm il quale ha preso in analisi diversi scenari contributivi. Sono stati esaminati 8 ipotetici profili che rappresentano 3.251.626 cittadini italiani. I profili sono stati differenziati in base al genere di appartenenza – uomo o donna – e al decennio di nascita. Si è esaminata la situazione contributiva di persone nate nei decenni ’60, ’70, ’80 e ’90. In pratica si tratta di lavoratori che andranno in pensione tra il 2027 e il 2062, a un’età che potrebbe oscillare tra i 66 anni e 11 mesi e i 72 anni.
E’ stato valutato che per tutti l’assegno pensionistico mensile si aggirerà intorno ai 1337 euro netti. Tuttavia cambierà – e di molto – il rapporto percentuale tra la prima annualità di pensione e l’ultimo reddito annuo completo.Per fare un esempio pratico: prendendo un lavoratore che ha iniziato ad avere i contributi versati a partire dai 25 anni di età, se è nato nel decennio del 1960 il suo assegno pensionistico corrisponderà al 71% dell’ultimo stipendio; ma se è nato nel decennio del 1990 l’assegno della pensione potrebbe precipitare al 40% dell’ultimo stipendio. E non è ancora lo scenario peggiore in quanto sono stati esaminati soli profili di ipotetici lavoratori dipendenti. Per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti si prospetta una situazione ancora peggiore a causa di una probabile discontinuità lavorativa e dei redditi imponibili inferiori.
A determinare questo divario generazionale è il sistema contributivo italiano che ha fortemente risentito dei cambiamenti economici. Per quanto il presidente dell’Inps Pasquale Tridico abbia più volte ribadito che, nonostante la crisi legata al lockdown, le pensioni sono in salvo, l’importo dell’assegno non sarà del tutto salvo per i 30enni di oggi. Per questa ragione sono sempre di più i lavoratori dipendenti che non lasciano il Tfr – trattamento di fine rapporto – in aziende ma lo inseriscono all’interno di forme pensionistiche integrative con società private. Così come sono sempre di più gli italiani che scelgono di sottoscrivere pensioni integrative già a partire dai 40 anni o poco dopo. Ma il divario non riguarda solo le generazioni: anche il genere di appartenenza influisce. Infatti – sempre in base alla ricerca sopra citata – le donne subiscono un’ulteriore penalizzazione rispetto ai colleghi uomini. Il divario tra donne e uomini potrebbe oscillare dal 17 fino al 22%. Tutto a svantaggio delle lavoratrici donne.