La diciannovesima relazione annuale dell’Inps descrive gli effetti della pandemia di Covid-19 sul sistema del lavoro. Altissimo il prezzo pagato per mantenere in attività tutti quei settori produttivi ritenuti essenziali: 47 mila casi di contagio e 13 mila morti.
E’ uno dei temi più dibattuti ai tempi del Covid: lo scontro, o nella migliore delle ipotesi il rapporto, tra economia e salute, tra difesa del lavoro e della produzione e tutela della vita. Un dibattito di difficile soluzione, visto che la pandemia che sta caratterizzando questo 2020 impone scelte che, da una parte o dall’altra, implicano sacrifici dolorosi. Già in occasione della prima ondata le polemiche sulle chiusure delle attività erano state in alcuni casi feroci, tra chi – Confindustria in testa – pretendeva di poter continuare a produrre e chi sosteneva che, di fronte ad una emergenza sanitaria di questa portata, la priorità assoluta dovesse essere data alla difesa della salute dei lavoratori e, in generale, dei cittadini. Anche a costo di pesanti perdite economiche.
In questa seconda fase la dicotomia tra salute e lavoro era tornata a mostrare tutte le contraddizioni della nostra epoca già in estate: ad inizio agosto, infatti, un rapporto Inail – cui probabilmente non sono state date la visibilità e l’attenzione che meritava – evidenziava come i casi certificati di contagio da Covid-19 sul posto di lavoro fossero ben 51.263, tra i quali ben 276 casi mortali. Particolarmente allarmante la situazione della Lombardia, dove si registravano un terzo dei contagi totali e quasi la metà dei decessi. Più in generale, oltre l’80% dei casi di contagi avvenuti sul lavoro proveniva dalle regioni del Nord del paese, quelle a più forte trazione produttiva.
La relazione annuale dell’Inps
A confermare il drammatico trade off tra produzione e diffusione dei contagi, arriva oggi un’analisi inserita dall’Inps nella sua diciannovesima relazione annuale, secondo cui il mantenimento dell’attività nei settori definiti essenziali – altro tema che meriterebbe importanti approfondimenti – ha determinato “circa 47mila casi addizionali di Covid-19 (33% di quelli registrati tra il 22 marzo ed il 4 maggio) e circa 13 mila morti“. Numeri altissimi, corrispondenti al 13% dei 105.000 decessi totali per tutte le cause registrati in quel periodo.
Nella sua analisi, Inps attribuisce i 13 mila decessi “principalmente all’incidenza dei lavoratori essenziali nei servizi sanitari e nei Servizi a imprese e persone“, mentre viene considerato assolutamente marginale l’impatto legato alla manifattura. Nel periodo più duro della prima ondata, tra marzo ed aprile, si è registrato in termini di contagi “un aumento anche quasi del 50%“. Drammatici, poi, i dati relativi alle province di “Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza“, che, nello stesso periodo, “presentano tutte una percentuale di decessi superiore al 200%“.
La cassa integrazione
Lo studio dell’ente previdenziale analizza anche l’impatto che la pandemia ha avuto sul mondo del lavoro e sui redditi degli italiani. Nel solo periodo compreso tra marzo e aprile, chi si è trovato in cassa integrazione ha perso quasi 600 euro lordi. Un taglio importante, che, stando ai dati forniti dall’Inps, ha subito un’attenuazione nel bimestre successivo: tra maggio e giugno, infatti, la diminuzione salariale rispetto agli standard pre – pandemia si è attestata attorno al 17%, in calo rispetto al 22,5% registrato tra marzo e aprile.
La cassa integrazione per Covid, si legge ancora nel rapporto, ha anche contribuito in modo fondamentale a ridurre il costo del lavoro per le imprese, che hanno visto diminuire il monte salari, grazie alle integrazioni garantite dall’Inps, del 58% nel bimestre marzo-aprile – pari a circa 1.500 euro lordi per dipendente – e del 33% nel periodo compreso tra maggio e giugno – circa 850 euro lordi. Della Cig hanno beneficiato, nel periodo di tempo preso in analisi, circa 6 milioni di lavoratori.
I sussidi
Dall’inizio dell’emergenza, l’Inps ha versato aiuti a più di 14 milioni di persone. Interventi che “hanno evitato“, ha rivendicato con orgoglio il presidente Pasquale Tridico, “che circa 302mila persone finissero a rischio di povertà in seguito agli effetti economici del Covid-19“. La totale spesa messa in campo per fronteggiare l’emergenza ammonta a più di 26 miliardi di euro, suddivisi tra i beneficiari del bonus Covid – erogato a 4 milioni di persone, dei bonus domestici, delle domande di congedo oltre che dei bonus baby-sitter.
Particolarmente ingente anche l’intervento effettuato sul versante del lavoro autonomo, con quasi 8,2 milioni erogati in favore di 4,1 milioni di cittadini beneficiari, per una spesa complessiva di 5,2 miliardi di euro. A queste misure, si aggiungono le 600 mila domande, pervenute all’ente, di accesso al reddito di emergenza. Di queste, sono state – per ora – accolte 285.234 richieste, mentre ben più consistenti sono i numeri riguardanti reddito e pensione di cittadinanza, che hanno raggiunto più di 3 milioni di persone.
Il crollo dell’occupazione
Per quel che riguarda il mercato del lavoro, l’Inps segnala un trend negativo particolarmente preoccupante. La pandemia ha inevitabilmente lasciato il segno anche sui livelli di occupazione, facendo registrare, nel primo semestre 2020, “una flessione tra febbraio e giugno 2020 di circa 530mila occupati“. L’estate, con l’abbassamento della curva dei contagi ed un temporaneo ritorno alla “normalità“, aveva fatto registrare una timida ripresa, confermata dal rapporto Inps che attesta la perdita di occupazione a 360 mila unità, in netto calo rispetto alla fine di giugno. Purtroppo la seconda ondata tornerà con ogni probabilità ad incidere negativamente e, più in generale, “il saldo annualizzato luglio 2019 – luglio 2020 è di -780mila rapporti di lavoro“, segno di una emorragia in termini occupazionali cominciata già prima del divampare dell’emergenza sanitaria. A rendere ancora più allarmante la situazione, conclude il rapporto Inps, il fatto che i flussi evidenziati “sono chiaramente alterati dal blocco dei licenziamenti“.