Per l’ex direttore del Dipartimento della Protezione Civile, alcuni ospedali sono reticenti a trasferire i malati Covid agli appositi ospedali perché perderebbero così una importante fonte di entrate.
È pesante l’accusa di Guido Bertolaso ad una parte del sistema ospedaliero italiano. Per l’ex direttore del Dipartimento della Protezione Civile, molti ospedali sono reticenti a trasferire i malati di Covid agli ospedali dedicati perché “perdono due mila euro al giorno per ogni paziente che viene trasferito”. Soldi, sostiene Bertolaso, che servono a “sistemare bilanci traballanti”. L’attuale consulente per la gestione Covid di Lombardia, Marche e Sicilia spiega il funzionamento dei fondi trasferiti dalle regioni agli ospedali: “Ci sono le diarie che si riconoscono agli ospedali da parte delle regioni”, prosegue, le quali “hanno una tariffa per ogni patologia”, quindi anche per una epatite o un’appendicite, ad esempio. Per quanto riguarda il Covid, per ogni ricovero in terapia intensiva o in rianimazione, nella “stragrande maggioranza dei casi la Regione riconosce alla struttura ospedaliera duemila euro al giorno”. Il che giustificherebbe, nella visione di Bertolaso, la reticenza di molte strutture a trasferire i pazienti.
Ad ogni modo, con la crescente pressione subita dagli ospedali dovuta all’impennata dei contagi, molte strutture sanitarie temporanee che erano state allestite nella prima fase della crisi tornano ad aprire. È il caso, ad esempio, dei padiglioni della Fiera di Milano e di Bergamo, che sono riaperte dalla scorsa settimana. L’obiettivo, come annunciato in una nota dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, è garantire così al sistema lombardo i primi 201 posti letto aggiuntivi di cure intensive, che verranno gradualmente occupati. “A Milano vengono, allo stato attuale, attivati i primi 153 posti letto per cure intensive suddivisi in 4 moduli da 14 posti, 3 da 16 posti e 7 da 7 posti. A Bergamo invece funzioneranno 4 moduli da 12 posti letto”, ha spiegato l’assessore al Welfare della regione, Giulio Gallera.
La riapertura di specifici reparti Covid all’interno degli ospedali, o di apposite strutture per il ricovero dei malati di Covid-19, sulla scia della strategia già adottata in primavera, sta cominciando a prendere piede su tutto il territorio nazionale. In Veneto, la curva dei contagi segna uno scatto preoccupante, con un aumento sopra i 2.000 nuovi contagi per due giorni di seguito. Gli ospedali sono ormai sotto stress, e il recente superamento della soglia di cento ricoveri nel reparto rianimazione è un indicatore forte che la riapertura degli ospedali Covid – prevista per la ‘fase 3’ – non potrà più attendere. Anche la regione Piemonte si sta muovendo in questa direzione e lo fa chiedendo l’aiuto dell’esercito, che in tempi record ha montato due tendoni all’ingresso dell’ospedale di Rivoli (Torino). Come si legge su una nota pubblicata dall’Asl locale, le tende sono più grandi di quelle predisposte nella prima fase della emergenza. “Sono state allestite nello spazio che precede l’ingresso del pronto soccorso e saranno collegate fra loro“. L’obiettivo è alleggerire la pressione sul pronto soccorso.
Ma anche gli altri Paesi europei iniziano a riattivare le strutture che erano state predisposte in primavera. A Manchester, uno dei centri urbani inglesi più colpiti dalla seconda ondata della pandemia, il primo dei sei ospedali temporanei costruiti ad aprile ha riaperto i battenti, sullo sfondo dell’allarmante previsione di una crescita esponenziale dei ricoveri nel Regno Unito, che dovrebbe passare dagli attuali 9.000 ai 25.000 entro fine novembre.
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