Lo chef Gianfranco Vissani si espone contro l’ultimo Dpcm del Governo Conte che, a suo dire, condanna alla chiusura tutte le piccole attività del settore gastronomico.
Un timido passo avanti rispetto alla chiusura totale ma comunque un disastro per chi lavora nel settore della ristorazione: così lo chef Gianfranco Vissani ha definito il nuovo Dpcm del Premier Giuseppe Conte che obbliga i locali a chiudere entro le ore 24 . Vissani afferma che il principale problema delle nuove misure contro il Covid è il numero di posti ridotto – sei al massimo – disponibile per i clienti a tavola: “I tavoli da massimo sei persone possono andar bene per le attività più grandi ma tanti ristoranti a conduzione familiare con piccole strutture sono condannati a mettere i sigilli”.
Un problema che per Vissani non solo nuoce alle piccole attività ma anche alla qualità dei prodotti offerti dalla ristorazione: “Abbiamo massacrato le piccole attività che aumentano la qualità del cibo. Il nostro settore produce il 13% del Pil italiano, meritava maggiore rispetto da parte delle istituzioni” – ha affermato Vissani che a sua volta ha dovuto chiudere i battenti ad un ristorante della sua catena: “Ho dovuto chiudere il mio ristorante a Roma, era diventato un calvario tenerlo aperto. Con queste limitazioni guadagnamo giusto i soldi per pagare i dipendenti”.
Il settore terziario è indubbiamente il più colpito dalle nuove misure di distanziamento sociale così come lo è stato già durante la prima parte dell’emergenza che ha visto crollare a picco le entrate di tanti ristoratori, titolari d’alberghi e proprietari di attività con conseguenze a volte tragiche: “Tutti sapevamo che sarebbe arrivata una seconda ondata di contagi. Non è stato fatto abbastanza per evitare questa situazione tremenda anche se abbiamo rispettato le regole”. Alle parole di Vissani fanno eco quelle di un altro noto chef italiano, Natale Giunto, famoso tra i telespettatori italiani per la sua partecipazione per 15 anni al programma televisivo “La prova del cuoco” che ha dichiarato: “Siamo spalle al muro: in questo modo, non mi rimane che mettere in cassa integrazione il 50% dei dipendenti. Non ha senso inserire una regola simile, nel mio locale venti persone possono stare al tavolo rispettando la distanza”.