A un mese dal sequestro in mare di 18 marinai siciliani da parte della marina del generale Khalifa Haftar, la situazione sembra in stallo e la diplomazia italiana non sembra in grado di trovare la soluzione per riportare a casa i pescatori.
E’ trascorso ormai più di un mese da quando la marina libica, sotto la guida del generale dell’autoproclamato esercito libico Khalifa Haftar ha sequestrato due pescherecci italiani con i 18 uomini che ne componevano gli equipaggi. Le due imbarcazioni stavano gettando le proprie reti in un tratto di mare a 35 miglia da Bengasi, un’area particolarmente pescosa ma storicamente rivendicata dalla Libia come sua Zona Economica Esclusiva.
Una circostanza, secondo Panorama, che non è parsa vera al generale Haftar. Indispettito dal comportamento tenuto proprio in quei giorni dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in visita ufficiale in Libia, dopo aver incontrato le autorità del Governo di Tripoli guidato da Fayez-al-Sarraj e riconosciuto dalla comunità internazionale, decise di snobbare completamente Haftar, il generale avrebbe così deciso di usare i pescatori italiani come vera e propria arma di ritorsione.
La volontà libica, infatti, è fin dal primo momento quella di procedere ad uno scambio di prigionieri con l’Italia: il colonnello Ahmed Jumaa, comandante delle forze navali libiche della cirenaica, già a poche ore dal fermo dei pescherecci aveva fatto sapere che la liberazione dei pescatori italiani era strettamente collegata a quella di quattro cittadini libici condannati e incarcerati nel nostro paese per traffico di esseri umani.
Una vicenda risalente al 2015 e per la quale i quattro libici sono stati condannati a 30 anni di carcere per la strage di Ferragosto, quando nel tentativo di raggiungere le coste italiane 49 migranti morirono in mare. Proprio a questa tragedia si ispirò, tra l’altro, il regista Gianfranco Rosi per la realizzazione del film documentario “Fuocoammare“. Secondo la ricostruzione libica, tuttavia, i quattro non sarebbero altro che innocenti aspiranti calciatori che cercavano di raggiungere l’Italia per costruirsi un futuro nel mondo del calcio e, per questa ragione, le autorità libiche hanno in più occasione chiesto che venissero trasferiti nel paese nordafricano per scontare lì la loro pena.
Certamente non è la prima volta che pescherecci siciliani – in questo caso di Mazara del Vallo, ma in passato è successo lo stesso ad altre marinerie dell’isola – si trovano in stato di fermo per la violazione di un tratto di mare rivendicato come di esclusiva competenza libica, ma non riconosciuto come tale a livello internazionale. La grande differenza, però, sta nei lunghissimi tempi di detenzione. Normalmente, vicende come questa si esauriscono nel giro di pochi giorni al massimo, con il rientro in Italia degli equipaggi.
Questa volta, però, la situazione è diversa. La Libia vive da anni una divisione tra due Governi e, nei fatti, una lacerazione del potere che la mette in una sorta di guerra civile permanente. L’Italia, dal canto suo, riveste nel territorio libico grandi interessi, soprattutto per quel che riguarda l’approvvigionamento energetico, oltre che per quel che riguarda la gestione dei migranti che cercano di arrivare in Europa, e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in entrambi i Governi da lui guidati, ha sin da subito cercato di fare della partita libica una vera bandiera del suo operato, costruendo per il nostro paese una posizione di equidistanza tra le due forze contrapposte nel paese – si pensi al vertice di Palermo, fortemente voluto dal Premier per cercare di mediare tra Haftar e Serraj.
Come spiega InsideOver, il nostro Esecutivo non appare oggi in grado di risolvere la questione. La condizione ufficiale dei marinai italiani è uno stato di fermo in attesa di un processo che dovrebbe vederli imputati per ingresso non autorizzato in acque libiche. Nei fatti, è evidente che Haftar punti esclusivamente alla liberazione dei quattro “calciatori” e che intenda quindi trovare una soluzione di carattere politico – diplomatico alla vicenda.
Una situazione rischiosa per l’Italia, che da una parte pretende che i cittadini italiani reclusi in Libia facciano ritorno a casa, ma dall’altra non può in alcun modo cedere alle richieste libiche circa la liberazione dei quattro scafisti detenuti nel nostro paese. Oltre a questo, il rischio è che un caso come questo finisca per rappresentare a tutti gli effetti un precedente capace di dimostrare una certa debolezza sul piano negoziale. E questo, inevitabilmente, oltre ad aggravare la posizione dei 18 cittadini italiani sotto sequestro in Libia, metterebbe a rischio tutti quegli interessi strategici – economici, politici, diplomatici – che l’Italia ha nell’area libica e, più in generale, del Mediterraneo.
Lorenzo Palmisciano
Fonte: Panorama, InsideOver
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