Diletta Leotta rivendica la sua bellezza e la decisione di sottoporsi agli interventi estetici. Ma la conduttrice RAI non ci sta: “i soliti stereotipi”
Diletta Leotta ha voluto raccontare di sé, condividere con il mondo la sua esperienza di vita e le riflessioni che hanno segnato il sofferto periodo del lockdown, che ha vissuto – come milioni di italiani – in chiusura totale. Per questo a soli 29 anni la conduttrice ha voluto scrivere un libro. “All’inizio avevo dei dubbi”, ha spiegato al Corriere della Sera. “Ho messo in conto che ci saranno delle critiche, ma poi ho pensato che scrivevo di me stessa e che è bello essere se stessi. L’idea è nata durante il lockdown. Mi son detta: perché non raccontare episodi della mia vita che mi hanno reso fragile ma dai quali sono riuscita a uscirne più forte?”. Così è nato “Scegli di sorridere”, autobiografia con cui Leotta cerca di trasmettere un senso di positività, per raccontare, attraverso le sue esperienze, come si può trovare “il bello anche in pezzi di vita che positivi e belli non sembrano”. Nel raccontarsi, la presentatrice di Dazn ha anche parlato di bellezza, commentando i ritocchi estetici a cui si è sottoposta, come la chirurgia al naso a 18 anni. “È la mia faccia, rivendico la libertà di farci ciò che credo”, si sfoga Leotta, che però assicura di non aver puntato alla chirurgia estetica “per assicurarmi una folgorante carriera”. Anche perché, prosegue la 29enne, “per andare in tv non basta, la bellezza va arricchita e condita con altre qualità”.
Ma la giornalista Rai al comando della Domenica sportiva Paola Ferrari non ci sta alle affermazioni della collega ex conduttrice di Sky. Per la nota giornalista, con il suo successo, Leotta ha riportato “in auge nel mondo del giornalismo sportivo un’immagine di donna stereotipata, da Barbie, che speravamo di aver cancellato”. Per Ferrari l’immagine del calcio sono “le ragazze della nostra Nazionale femminile”, e non personaggi come Leotta che incarna una forzatamente propensa a piacere agli uomini, che può dare fastidio, perché alimenta l’idea che il calcio appartenga solo agli uomini, ma non è così”, conclude.