“Qui non ci sono Palamara, il processo sarà giusto”, dice il giudice di Matteo Salvini

Nunzio Sarpietro, il giudice che dovrà pronunciarsi sul caso Gregoretti, in cui Matteo Salvini è imputato con l’accusa di sequestro di persona, garantisce che si svolgerà un processo giusto: “Qui non ci sono Palamara”.

Vuole sgombrare il campo da qualsiasi possibile dubbio, Nunzio Sarpietro, il giudice che dovrà pronunciarsi nel processo a carico di Matteo Salvini per il caso Gregoretti. Improvvisamente, da quando il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno, il magistrato si è trovato al centro di un’attenzione mediatica cui non era abituato e da cui sembra non farsi troppo distrarre. Al lavoro sulle carte, respinge tutte le insinuazioni e i riferimenti fatti dal celebre imputato nelle ultime settimane: “mi auguro di non trovare a Catania un altro Palamara“, ripete il leader della Lega, facendo riferimento a un’intercettazione in cui l’ex vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura diceva, riferendosi proprio a Salvini, “Ha ragione ma va attaccato“.

A 67 anni, spiega La Repubblica, Saprietro ha abbastanza esperienza per non farsi condizionare dal tam tam mediatico che lo sta coinvolgendo. E se, come è ovvio, non si pronuncia sul merito del processo, dice la sua sulla grande attenzione che gli viene riservata ultimamente. Mostrando una notevole serenità: “Ho affrontato mari ben più tempestosi. Io non faccio politica. Il senatore Salvini non ha alcun motivo di preoccuparsi. Qui troverà un giudice terzo e soprattutto sereno, spoglio di qualsiasi pregiudizio, che gli garantirà un processo giusto ed equo, esattamente come a qualsiasi altro cittadino“.

Una risposta precisa ai dubbi di Matteo Salvini che, riporta Il Fatto Quotidiano, lo scorso maggio aveva scritto anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando di una “Strategia diffusa e largamente condivisa di un’offensiva nei miei riguardi da parte della Magistratura“ e invocando per sé la garanzia di un “processo giusto“.

Certo, non ci si trova di fronte ad un processo come tanti altri, e non solo per via della notorietà e la rilevanza politica dell’imputato. Salvini, infatti, finisce a processo dopo che il Tribunale dei Ministri ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, nonostante la Procura di Catania, guidata da Carmelo Zuccaro, avesse dato parere contrario e chiesto per due volte l’archiviazione del caso.

Sarpietro, comunque, non si preoccupa e spiega: “La mia carriera parla per me. Ero iscritto a Magistratura indipendente ma sono andato via proprio perché non ho mal condiviso il sistema che da tanti anni governa la magistratura. Faccio questo lavoro da 42 anni, sono stato il primo giudice, nel 1985, a presiedere un processo di mafia dopo l’istituzione di questo reato in seguito agli omicidi di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Allora ero un giovane giudice a Caltagirone, tra i condannati di quel processo c’era anche Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci. Mi sono occupato della Tangentopoli catanese e ho diretto i gip di Trieste. Quando avevo tutti i numeri per aspirare a presiedere la Corte d’appello di Torino sono stato fatto fuori dal sistema Palamara. E da sette anni ormai dirigo, credo in maniera irreprensibile, i gip di Catania. Chiunque chieda informazioni su di me troverà questo: un giudice consapevole della estrema delicatezza del suo ruolo che con la politica non ha avuto niente da spartire“.

L’obiettivo del magistrato è quello di procedere rapidamente con il processo, con la consapevolezza che saranno necessarie come minimo 2 o 3 udienze per completare tutti i passaggi indispensabili: la costituzione delle parti civili – tra cui una coppia di nigeriani con tre figli, il più piccolo dei quali nato dopo l’evacuazione medica d’urgenza imposta per la nave Gregoretti. Poi si procederà con le richieste delle parti, che determineranno anche i tempi di svolgimento del rito. E anche su questo, Salvini ha già annunciato che darà battaglia, dichiarandosi colpevole.

Lorenzo Palmisciano

Fonte: La Repubblica, Il Fatto Quotidiano

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