Molti addetti ai lavori indicano il Partito Democratico come principale vincitore delle elezioni regionali. Vediamo se le cose stanno veramente così.
Una vittoria del Partito Democratico e del suo Segretario Nicola Zingaretti. Un’affermazione tanto importante da poter addirittura cambiare gli assetti e le prospettive del Governo nazionale. E’ in questo modo che molti osservatori hanno descritto l’esito delle elezioni regionali di domenica e lunedì scorsi. Un’analisi che non riesce a convincere del tutto e che lascia, anzi, più di un dubbio. Ne è convinto il sondaggista Renato Mannheimer che – riporta Il Giornale – analizza i risultati delle elezioni regionali proponendo una prospettiva ignorata da gran parte dei commentatori. E’ vero che il Pd è il partito che ha raccolto in assoluto il maggior numero di voti – 1.774.412 – seguito dalla Lega con 1.240.768. In questa particolare graduatoria si piazza al terzo posto Fratelli d’Italia, che è però anche l’unico partito ad aver visto crescere i propri consensi rispetto alle politiche del 2018 e alle europee di un anno fa. Tutti gli altri, nessuno escluso, hanno perso voti. Il calo più significativo è quello del Movimento 5 Stelle, che ha raccolto appena 660.837 voti e che appare ormai indirizzato verso una resa dei conti interna.
Aiuta a spiegare questo calo generalizzato la presenza, praticamente in ogni Regione, di quelle che vengono definite “liste del presidente“, cioè quelle formazioni che si sono costituite proprio per l’occasione di queste elezioni regionali e che fanno leva sul carisma personale del candidato Governatore. Liste che hanno raccolto complessivamente 1.198.917 voti e che hanno avuto un particolare successo in Campania, per Vincenzo De Luca, e in Veneto per Luca Zaia. Se si sommassero – come ipotizza Agi – i voti del Governatore veneto a quelli del suo partito, la Lega otterrebbe nel complesso il 23,3% dei voti totali: un dato molto simile a quello che, secondo diversi sondaggi, il partito di Matteo Salvini otterrebbe a livello nazionale. In generale è bene non dimenticare che si tratta di dati derivanti da elezioni regionali, che non possono quindi essere semplicemente proiettati a livello nazionale. Questo perché le regioni in cui si è votato non riescono a rappresentare un campione attendibile e perché il voto è suscettibile di variazioni anche molto importanti in base al contesto sul quale gli elettori vengono chiamati a pronunciarsi. Ad esempio, è interessante sottolineare come l’analisi dei flussi proposta da Swg afferma che il 25% degli elettori della lista personale di De Luca provengono dal Centrodestra. Lo stesso si può dire a proposito della Liguria, dove molti dei voti ottenuti dal Presidente riconfermato Giovanni Toti sono arrivati dall’astensione e da settori tradizionalmente estranei al Centrodestra. E non è scontato, naturalmente, che questi elettori decidano di fare una scelta analoga quando verranno chiamati ad esprimersi per le elezioni politiche. Soprattutto perché, come detto, un ruolo decisivo in queste elezioni regionali è stato giocato dall’appeal che i candidati alla Presidenza sono riusciti ad esercitare sull’elettorato.
Non a caso tutti i sondaggi richiesti dai partiti sulle prospettive relative ad elezioni politiche non confermano i dati emersi da quelle regionali: secondo l’istituto Demopolis il distacco tra Partito Democratico e Lega sarebbe sensibilmente ridotto rispetto al passato – appena 4 punti percentuali, rispetto ai 15 rilevati ad agosto – ma il partito di Salvini sarebbe ancora davanti. Insomma, le elezioni regionali vanno prese per quello che sono – cioè un voto locale – e devono essere analizzate con attenzione. E se, da una parte, possono chiaramente rappresentare alcune delle tendenze presenti nell’elettorato al momento del voto, dall’altra non sono sufficienti a garantire che alcuni risultati siano destinati a ripetersi a livello nazionale in caso di elezioni politiche.
Lorenzo Palmisciano
Fonte: Agi, Il Giornale, Swg, Demopolis
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