Solo il 3% dei migranti sbarcati in Italia è stato ridistribuito in altri Paesi europei. L’obiettivo iniziale dell’Ue nel 2015 di ripartire 160mila persone è totalmente fallito. Per questo serve una nuova politica migratoria comunitaria.
Di cento persone che sbarcano in Italia scappando dal proprio paese di origine – a causa delle guerre o della situazione di povertà in cui versano o in cui rischiano di cadere – soltanto tre sono state ridistribuite in altri Paesi europei, informa Repubblica. Portando i numeri alla realtà dei fatti, parliamo di 13.500 migranti ripartiti in Europa per quasi mezzo milione approdati in Italia negli ultimi 5 anni. Dati alla mano, bisogna tenere in conto che il regolamento di Dublino – che a breve dovrebbe essere sostituito da una più equa ed efficace, si spera, politica migratoria comunitaria – è stato approvato nel 2013, e da allora vale la regola che il Paese di primo approdo deve farsi carico della richiesta d’asilo e dell’accoglienza di chi ne ha diritto. Nella pratica, tantissimi migranti sbarcati in Italia che hanno provato a oltrepassare i confini e a stabilirsi in altre Paesi europei, sono stati identificati e rimandati indietro. A prova che il “gruppo di Visegrad” – costituito da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – ha avuto la meglio sulla quasi inesistente solidarietà dei cosiddetti Paesi “volenterosi”.
Le nazioni più solidali sono Germania e Francia, che hanno accolto più migranti, ma anche la Finlandia e il minuscolo Lussemburgo hanno fatto la loro parte. Invece Ungheria e Polonia non hanno preso a carico un unico migrante, pur essendo obbligati dal piano di “relocation” europeo, pena le sanzioni, che però non sono mai state applicate. Una tradizione Ue quella di promettere sanzioni e non applicarle, e di cui proprio Polonia e Ungheria sono diventati felici beneficiari.
Ma di cosa si tratta il programma di ‘relocation’ europeo approvato nell’estate 2015 dai Paesi Europei? È un programma emergenziale in base al quale 160mila persone dovevano essere ricollocate inizialmente da Italia e Grecia e poi anche da Ungheria – dove nel frattempo la situazione migratoria si era intensifica, come riporta il Parlamento Europeo – verso altri Stati europei entro settembre 2017. Guardando l’obiettivo iniziale della Commissione di realizzare circa 6000 ricollocazioni al mese, il programma si è rivelato un vero fallimento. E alla fine del 2017, soltanto 33.846 richiedenti asilo – 11.999 dall’Italia e 21.847 dalla Grecia – erano stati effettivamente ricollocati. Il relocation plan è stato anche campo di battaglia tra la Commissione – che ha deciso di avviare le procedure di infrazione contro la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia – e i Paesi del gruppo Visegrad, che insieme alla Romania, hanno votato contro l’adozione della ricollocazione e si sono rivolte alla Corte di giustizia.
Per questo la Commissione Europea, nella persona della presidente Ursula von der Leyen, insiste tanto sulla sostituzione del Regolamento di Dublino. Finchè la Ue non avrà una vera politica di ridistribuzione – e non dei meccanismi provvisori con tempi di scadenza quale il relocation plan – che obblighi i Paesi a prendere a carico le richieste di asilo dei migranti, tutto il peso rimarrà sulle spalle dei Paesi di primo approdo come Italia e Grecia, i più colpiti dall’incremento dei flussi migratori, soprattutto quelli per motivi economici, che oggi rappresentano l’80% del totale. Flussi che, con la crisi economica e sanitaria in corso a causa del Coronavirus, e con le instabilità sempre più preoccupanti dei Paesi nordafricani, tenderanno solo a crescere.
Fonte: Repubblica, Parlamento Europeo
Thais Palermo